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 2014  giugno 01 Domenica calendario

MAMMA RAI E LO SCIOPERO DEI MEZZIBUSTI SEDIZIOSI


Non poteva trovarsi nemico migliore. Dopo il successo alle europee, ad incoronare Renzi sarà nientemeno la Rai che l’11 giugno scenderà compattamente in piazza per non tagliare di 150 milioni i suoi mirabolanti sprechi. Va in scena, o meglio in onda, la sedizione del mezzobusto che rivuole un padrone, il Vespro della casta catodica, la sommossa del “panino”.
Credendo di scioperare contro Renzi, i 13.000 dipendenti, le 21 sedi regionali, i 1700 giornalisti, i 3000 collaboratori, i 110 parrucchieri, i 70 camerinisti, i 61 falegnami e poi i meccanici, i consulenti musicali, gli arredatori, i costumisti, le orchestre di almeno 16 elementi, le mille segreterie più affollate dei ministeri, gli aiuto registi, i programmisti, i 48 direttori e i 70 vicedirettori, i tecnici e tutti i “dottor Marsala” (Alto Gradimento), in realtà lo rafforzano e lo legittimano con il più geniale degli spot: la rivolta di strada del funzionario dell’informazione servile più pagata e pletorica d’Europa, il tumulto dell’intrattenimento indecente e del varietà più volgare. Perciò Matteo Renzi, in privato, gongola: «Non mi sembra vero, non potevo aspettarmi di meglio». E anche la solidarietà dei grillini, per bocca di Roberto Fico, presidente della Commissione di Viglianza, è un sottosopra bislacco, più paradossale dell’esibizione di Grillo a “Porta a Porta”. La Rai grillina è l’ultimo ossimoro italiano, un incrocio tra mostri: il Masaniello e il mezzobusto, Grillo e Vespa uniti nella lotta.
Insomma l’11 giugno questo sciopero diventerà una storica marcia trionfale filogovernativa, come se scioperassero i banchieri o le feluche o i top manager. Per la prima volta infatti il governo avvelena il pozzo dove si annida da sempre il potere italiano, tramortisce la madre di tutte le raccomandazioni, si rifiuta di trattare con la casamatta del consenso, rinunzia alla torta per eccellenza di tutte le spartizioni che nella prima Repubblica furono gestite con un manuale persino più scientifico del Cencelli e poi, nel ventennio berlusconiano, divennero “premi fedeltà”, prebende, regali d’alcova, e concussioni sessuali persino.
Non solo la Rai non ha scioperato ma non ha neppure protestato quando fu degradata a foresteria degli scarti di Mediaset: star in disuso, vedette invecchiate, politici trombati e giornalisti di “serie C” promossi a inviati, a direttori, conduttori, persino opinionisti nella “fascia” che era stata di Enzo Biagi. Mai i giornalisti dei Tg lottizzati, gli artisti e le orgogliose maestranze alzarono la testa con uno sciopero bianco, un video oscurato, un minuto di silenzio o un post-it sulle labbra cucite: né Floris, né Fazio, né Vespa, né Conti, né Giletti, né tanto meno le star della scuderia di Lucio Presta, quando Berlusconi fece della Rai la bottega del suo più sfacciato mercimonio, perdendo ascolti e pubblicità sempre a vantaggio della sua azienda privata. Persino le artiste in Rai sono state tutte trasformate in veline (nel senso deteriore che ha preso la parola a dispetto delle originali veline di Striscia). Ricordate le intercettazioni: «… ti faccio lavorare in Rai»?
Tutti lo sanno: è con “l’esame Rai” che si misura ogni nuovo governo, tutti si aspettano lo spoil system, il cambio di stagione della simonia. La Rai è infatti sempre stata gestita da funzionari di palazzo Chigi, emissari governativi travestiti da giornalisti con l’invidiatissimo privilegio di entrare nella camera del re prima di impaginare l’Italia. Ebbene, Renzi, fosse pure per furbizia cinica, non ha mai voluto incontrare nessuno, a partire dal direttore generale Luigi Gubitosi, e ha rivendicato questa sua “distanza” da tutto l’universo Rai nel duello televisivo con Giovanni Floris facendo schizzare audience e battimani, a riprova che per gli italiani non c’è nulla di più esecrabile della Rai, con tutto il suo cortile, il suo odiatissimo canone, i dibattiti addomesticati, i pollai, i varietà di bambini e padelle, le salaci sconcezze, le pessime fiction ideologizzate: faziosità commissionata, educazione zero.
Ebbene, questo (non) rapporto tra i direttori della Rai che lo cercano e Renzi che risponde «non ci sono» sta diventando una striscia comica. Per esempio Gubitosi, certo senza malizia, il mese scorso ha promosso Luigi De Siervo, che era un ordinario direttore commerciale — un micro direttore si poteva dire senza offesa — nientemeno che a “macrodirettore” (non è uno scherzo linguistico) e chissà se sapeva che la sorella Lucia De Siervo aveva fatto parte della segreteria personale di Renzi sindaco. Nel mese di maggio, comunque — raccontano in Rai — questo neo-macro o ex micro è diventato l’uomo più ricercato, adulato e invitato: “Er Più”.
Ma come sempre la comicità in Italia nasconde il dramma. Hanno infatti le facce dei suicidi di massa questi dipendenti della Rai che forse avrebbero potuto anche raddoppiare la cifra di 150 milioni chiesta da Renzi su indicazione del commissario per la spending review Carlo Cottarelli. Basterebbe infatti chiedere in cambio al governo un’idea di servizio pubblico da discutere tutti insieme in vista del 2016 quando scadrà la concessione in esclusiva del canone.
È inutile ricordare che Renato Brunetta non ci piace, ma l’11 giugno a scioperare non sarà Mamma Rai, che è morta con i varietà di Falqui, gli sceneggiati di Bolchi, il garbo di Baudo e le invenzioni di Arbore. Si suicida in piazza la Rai svelata dai dossier di Brunetta, quella delle spese pazze e dei supercontratti furbi delle star dell’informazione lottizzata che hanno i benefici del libero professionista ma con la clausola del rientro, del paracadute: lavoratori autonomi con la garanzia del posto sicuro. Tra tutte le lotte annunziate da Renzi, vere o demagogiche che siano, ai burokrati, agli enti inutili, alla giungla legislativa, ai privilegi spacciati per conquiste sindacali, alla Provincie, al Senato … questa alla Rai svela il bunker del potere malandrino.
È la Rai il comitato centrale dell’Arcitalia.

Francesco Merlo, la Repubblica 1/6/2014