Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 01 Domenica calendario

GABBIA DORATA E 100MILA SPIE PER «CANCELLARE» TIENANMEN


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO — Il primo a finire agli arresti è stato Hu Jia, attivista che fa campagna per i malati di Aids. Gli agenti sono andati a casa sua a febbraio e gli hanno spiegato che questo è «un anno molto delicato». Questo è il venticinquesimo anniversario del massacro sulla Tienanmen; ma i poliziotti non hanno citato né la piazza né la data, il 4 giugno 1989, perché in Cina sono parole proibite. Dopo Hu sono finiti in carcere altre decine di dissidenti e avvocati dei diritti civili, qualche artista, un poeta, esponenti della comunità gay e buddisti. Poi, all’inizio di maggio, la piazza cuore del potere e della storia è stata circondata da una nuova barriera rinforzata e dorata. Sono i preparativi del governo per la ricorrenza innominabile.
Pechino sembra sospesa, stordita dal caldo asfissiante fuori stagione (42 gradi di massima) e sorpresa dall’enorme spiegamento di forze. L’ultimo segno di quasi serenità è all’angolo di Wangfujing, il viale commerciale distante un chilometro dalla Tienanmen: un bambino saltava felice in una pozzanghera e un netturbino aspettava paziente che finisse di giocare prima di spazzare via l’acqua. Ma a dieci metri c’erano tre soldati con elmetto, pistola nella fondina e mitra imbracciato che scrutavano inespressivi. Procedendo verso la piazza, furgoni e auto della polizia, agenti in postazione, dissuasori metallici agli incroci. E poi le barriere dorate, imbullonate sul marciapiedi. Sul web i pechinesi di spirito le hanno definite degne di un «tuhao», la parola che identifica i cafoni arricchiti dell’economia di mercato amanti dei gioielli d’oro. Forse al regime fa piacere che invece di parlare dell’anniversario di sangue la gente banalizzi.
Le autorità dicono che la gabbia dorata è a prova di auto, per evitare nuovi attacchi come quello uiguro di mesi fa. Ufficialmente sono solo precauzioni anti-terrorismo anche le pattuglie armate che attraversano la capitale. In parte è vero, perché dopo gli ultimi attentati sanguinosi nel lontano Xinjiang il governo teme che il terrorismo di matrice etnica e islamica colpisca anche qui: nelle stazioni della metropolitana da qualche giorno si passano al metal detector i pendolari, causando code bibliche.
Ieri i giornali di Pechino hanno annunciato che le autorità hanno mobilitato centomila cittadini per raccogliere informazioni. Dicono che è per proteggere la città dai terroristi: li pagano due yuan (25 centesimi) a soffiata. I più efficienti, quelli capaci di riferire tre sospetti al giorno, riceveranno a fine mese 200 yuan (25 euro, una bella cifra). Questi informatori volontari sono stati reclutati tra gli assistenti ai bagni pubblici, gli ambulanti, i portieri dei palazzi, gli edicolanti. Anche questo non è inedito a Pechino: circa 850 mila pensionati si prestano volentieri a controllare i loro quartieri. Ma con il pensiero alla Tienanmen il nuovo esercito popolare di spie ausiliarie accresce l’ansia.
Diversi uffici di agenzie e giornali internazionali hanno ricevuto il consiglio di stare alla larga dalla piazza. A quattro, cinque chilometri dalla Tienanmen, il vialone Chang’an (Pace duratura) prende il nome di Fuxingmen: qui nella notte del 3 giugno 1989 passarono i camion con i soldati e i carri armati ai quali era stato ordinato di schiacciare i «contro-rivoluzionari», gli studenti che da aprile occupavano la piazza del potere chiedendo riforme democratiche. Sul Fuxingmen, sotto il viadotto di Muxidi, i ragazzi cercarono di fermarli; i soldati spararono, anche i palazzi furono colpiti. Il punto dove si combattè più duramente è di fronte al Blocco 27, una serie di casermoni di abitazione. I fori non ci sono più, naturalmente. Seduti su sgabelli, davanti ai portoni, sei civili con il bracciale rosso dei volontari per la sicurezza. Girando sul retro e schivando un paio di poliziotti abbiamo avvicinato alcune coppie di anziani. «Certo che abito qui, da un sacco di tempo». Che cosa ricordate... «Non c’è niente da ricordare». Uno solo, mentre si allontanava con la compagna che gli chiedeva le ha sussurrato: «Sai, qui sparavano, ma è stato molto tempo fa».
Il partito comunista ha imposto una sorta di amnesia collettiva. Louisa Lim, autrice della «Repubblica popolare dell’amnesia» ha cercato di fare un sondaggio tra gli universitari, mostrando la celebre foto del ragazzo davanti ai tank: su 100 solo 15 l’hanno riconosciuta come l’immagine simbolo della Tienanmen. Molti dicono che è tutta un’invenzione degli americani; altri che «se davvero qualcosa è successo è stato provocato dalla Cia». Un tassista chiacchierone assicura che lui era militare a quei tempi e che i soldati hanno «solo sparato a terra o in aria, se qualcuno è stato ferito sono stati di sicuro colpi di rimbalzo». E poi ci sono anche personaggi importanti, come il geniale Jack Ma di Alibaba, che hanno detto: «Quell’incidente? Una decisione crudele, ma corretta».
Gli arresti preventivi, le intimidazioni, la censura che cancella dal web cinese la data 4 giugno 1989 (aggirata da qualche ardimentoso con definizioni tipo «35 maggio» e «ultimo anno degli 80»), hanno fatto cadere l’ultima illusione di riforma politica, 25 anni dopo. Dagli arresti domiciliari Hu Jia si fa sentire: «Dicono che è primavera a Pechino, ma è sempre inverno».