Antonio Polito, Corriere della Sera 1/6/2014, 1 giugno 2014
FINI E GLI ALTRI CHE NON VOGLIONO SMETTERE QUANDO LA POLITICA DIVENTA DIPENDENZA
Più che esecrarli, dovremmo provare a capirli, e imparare a compiangerli, i politici che non vogliono mai smettere. In un Paese dove tutte le persone normali sognano di andare al più presto in pensione, loro in pensione non vorrebbero andarci mai. È una condanna, non una scelta. Come tossicodipendenti all’ultimo stadio, non riescono a porre fine al loro vizio, e se le inventano tutte pur di continuare.
C’è chi fonda un movimento, in mancanza di meglio, per «tornare a essere presente nel dibattito politico», come Gianfranco Fini ha annunciato appena qualche giorno fa. C’è chi non disdegna la carica di sindaco del suo paesino natale, come l’ultraottantenne Ciriaco De Mita, che pure è stato presidente del Consiglio, e segretario di partito, e pluriministro. C’è chi si infuria perché non è stato eletto alle Europee e se la prende non con gli elettori, ma con i capi bastone del suo partito che l’avrebbero tradito: è il caso di Clemente Mastella. E c’è chi, come Massimo D’Alema, sarebbe pronto perfino a trascurare il suo buen ritiro agreste nella campagna umbra, i suoi exploit enologici e il suo giuggiolo da 1.500 euro, pur di aver dall’ex odiato Renzi un qualche incarico in Europa.
Bisogna compatirli perché non tutti lo fanno per soldi o per sete di potere. Oddio, qualcuno sì. L’ineffabile Scajola, per esempio, raccontava alla sua amata amica monegasca che se avesse avuto la ricandidatura da Berlusconi, e con essa uno stipendio da europarlamentare, certe cosucce e certe casucce si sarebbero potute sistemare meglio e in fretta. E l’Italia in effetti pullula di ex politici di rango nazionale che, come la risacca, si ritirano in provincia ad occupare poltrone di presidente e consigliere di amministrazione di questo o di quello, nella proliferazione di società pubbliche inutili che non chiudono mai, e sopravvivono perfino alle Province.
Ma, nel complesso, si tratta di una malattia, più che di una bramosia.
L’ex politico finito avverte in maniera cocente l’umiliazione di non essere più ascoltato, soffre di non poter più indicare la via ai suoi seguaci, langue in un ozio non più vitalisticamente interrotto da telefonate, messaggi, richieste di aiuto, segnalazioni di problemi. È dunque disposto anche a una platea ridotta, di periferia, di seconda fila, pur di riavere l’ebbrezza di una leadership. Oppure tenta di ovviare alla mancanza di azione fingendo un pensiero, e giù libri, fondazioni, convegni, riviste.
In qualche caso, più semplicemente, non sa riadattarsi alla vita civile, come capitava ai soldati che tornavano dalla guerra, magari ha sempre girato senza uno spicciolo in tasca, chaperonato da una scorta o da una segretaria, non è neanche capace di sfogliare i giornali perché li ha sempre letti nella rassegna stampa della Camera, e non sa dove lasciare il cappotto e la borsa se non ha un’auto e un autista che lo aspetta.
È insomma un disadattato, ci vorrebbero degli ospedali appositi, per la riabilitazione psico-motoria. In Gran Bretagna ne hanno davvero inventato uno. Si chiama Camera dei Lord, ed è il luogo dove vanno a passare l’inverno della loro vita i politici che non contano più nulla. Renzi ci potrebbe pensare: un Senato così gli dovrebbe piacere.