Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 1/6/2014, 1 giugno 2014
Susanna Camusso, Renzi ha fatto la campagna elettorale anche contro la Rai e contro la Cgil. Perché, secondo lei? «Un po’ per la ricerca del voto moderato; anche se non è affatto vero che tutti i moderati siano contro il sindacato…»
Susanna Camusso, Renzi ha fatto la campagna elettorale anche contro la Rai e contro la Cgil. Perché, secondo lei? «Un po’ per la ricerca del voto moderato; anche se non è affatto vero che tutti i moderati siano contro il sindacato…». Ha detto proprio: «Chi vota Pd non vota Cgil». «Fin qui siamo a monsieur de La Palisse: un’ovvietà. È vero però che molti iscritti Cgil hanno votato Pd. Questa volta più di altre». Al Nord non hanno votato anche Lega? «Meno che in passato. L’avanzata nelle zone industriali in Lombardia e in Veneto è segno che gran parte del mondo del lavoro si è riconosciuto nel Pd. Dentro il voto europeo ci sono molte cose. Anche una nuova voglia di partito. Una voglia di partecipare che non si esaurisce nel voto». Cosa intende per «nuova voglia di partito»? «Io credo che sia il momento di pensare a un grande partito unico della sinistra che abbia come blocco sociale di riferimento il lavoro, al di là della distinzione tra ceto operaio e ceti medi che non ha più ragione di esistere. È il momento di chiudere la diaspora infinita dello 0,1%. A maggior ragione adesso che il centro, nonostante i vari tentativi di rifondarlo, non esiste più». Intende dire che il Pd deve fondersi con Sel? «Non sono certo io a dire ai leader politici cosa devono fare. Io penso che si possa superare la stagione in cui i partiti sono stati destrutturati, e aprirne un’altra. Non ha senso fare un partito che semplifica i messaggi e restare bizantini nelle differenze; e la diaspora della sinistra è molto bizantina. Penso a un partito meno liquido, più partecipato, che ricostruisca il legame con la società che negli ultimi anni si è indebolito. In questo senso l’esperienza della Cgil, casa comune della sinistra, potrebbe servire. Certo non perché pensiamo di fondare una corrente nel Pd: questo Renzi non lo deve temere, “Matteo stai sereno”. Ma perché siamo un’organizzazione non a legame debole». La fusione con Vendola Renzi la farebbe domani, l’ha anche già detto al Corriere . Ma perché dovrebbe volere un nuovo partito più strutturato, se ha già un partito del 40%? «Perché il 40% lo deve mantenere, e se possibile aumentare». Anche a spese di Grillo? «Sì. Il voto di Grillo ha componenti diverse. Ci sono voti profondamente di destra. Ma c’è anche un voto popolare che ha dichiarato la “non identità” e può essere recuperato dalla sinistra». Quanto hanno contato nel successo di Renzi gli 80 euro? «Molto. È la prima cosa fatta per i lavoratori da tanto tempo. Questo è stato il grande errore di Enrico Letta: non aver capito che non si può dire che una cosa è importante e poi non farla». Renzi ha fatto notare che nessun accordo sindacale ha ottenuto un simile aumento. «Sbaglia. Pure in questa stagione di crisi abbiamo ottenuto aumenti anche maggiori». Quali? «Per gli alimentaristi, per i chimici. Certo non per il pubblico impiego, in cui vige il blocco dei contratti». Squinzi ha ripetuto la necessità di decentrare la contrattazione, azienda per azienda. Ma a questo punto Confindustria e Cgil che ci stanno a fare? «Noi non siamo la Germania. Non ci reggiamo sulle grandi e medie aziende, ma sulle piccole. Confindustria sa che deve rappresentare anche loro. Se vigesse solo la contrattazione aziendale, se ne potrebbero avvalere mille aziende in tutto il Paese, forse neanche quelle». Renzi dice che i sindacati devono cambiare. Che rischiano di rappresentare solo i pensionati e i garantiti, non chi ha un lavoro precario, chi lo perde, chi non lo trova. Lei cosa risponde? «Certo che dobbiamo cambiare. Abbiamo appena fatto un congresso su questo. Ma — a parte che i pensionati hanno diritto di essere rappresentati e considerati, e Renzi l’ha capito visto che intende tagliare il cuneo fiscale anche a loro — i nostri delegati non sono in pensione; sono eletti sul luogo di lavoro. Anche noi vediamo crescere l’esercito dei non garantiti, degli esclusi. Ma è la forza dell’organizzazione e degli organizzati che ci potrà permettere di includerli». Renzi vi chiede anche di mettere online tutte le vostre spese. Ci state? «Ha idea di quante cose fa ogni giorno un’associazione da sei milioni di iscritti? Dagli striscioni ai camper del sindacato di strada per i migranti… Noi non siamo un’amministrazione pubblica. Indichiamo le grandi direttrici di spesa; difficile elencare quelle minute. Comunque sono andata a vedere: non lo fa neanche il Pd. Noi siamo più avanti. Il Pd dovrebbe prenderci a modello, non chiedere agli altri quello che, dopo averlo annunciato, non fa». Il governo intende impostare la riforma del lavoro sul contratto unico a tutela crescente. La convince? «Mi convince se sostituisce le altre forme contrattuali». Confindustria è contraria. «Perché vorrebbe il tempo determinato per tutti. Ma così l’azienda non investe sul lavoratore; e il lavoratore penserà a trovare un altro posto, anziché investire il proprio tempo e le proprie energie sull’azienda. L’idea del lavoratore che investe sull’azienda fa parte della cultura del sindacato italiano: dagli operai che facevano il “capolavoro” al delegato che doveva essere il miglior lavoratore del reparto». Con Landini a che punto è? «Nel congresso il documento di Landini ha preso il 12 e qualcosa per cento… A parte le battute, tutti siamo chiamati a cambiare: pure la Fiom. La stagione degli accordi separati è finita, lo sanno anche Cisl e Uil. Il primo appuntamento è il contratto dei meccanici. Per tutti c’è la sfida della dualità del mercato del lavoro tra garantiti e non. E anche il rinnovamento dei gruppi dirigenti del sindacato, che oggi sono monogenerazionali». E con Marchionne? «Dopo i primi segnali positivi, ora aspettiamo la ri-normalizzazione dei rapporti, ovvero che la Fiom sia chiamata al tavolo con gli altri sindacati. Vorremmo che Marchionne fosse meno avaro di informazioni. Siamo contenti che intenda tenere l’Alfa e rilanciarla. Attendiamo di sapere quali modelli si produrranno, in quale stabilimento, tra quanto tempo». Cosa pensa della riforma della pubblica amministrazione annunciata dal governo? «Sono convinta che la riforma sia una grande scommessa. Se ne sta discutendo molto; solo che si discute delle conseguenze, non del cambiamento. Si parla di tagli, non di come migliorare i servizi per i cittadini. Credo che la proposta del governo debba avere più coraggio. Occorre trasformare la pubblica amministrazione da back-office a front-office. Non è possibile dover compilare cinque bollettini per fare un versamento, o attendere anni la licenza per aprire un’attività. Si deve smontare una serie di centri di potere in cui la trasparenza si intorbidisce». Questo lo dicono anche i politici. «Ma in questa stagione la politica è tornata proprietaria dei rapporti di lavoro pubblici. L’apoteosi si è avuta con Brunetta. Così si rende il lavoratore pubblico vittima della ricerca del consenso politico». I «fannulloni» non li ha inventati Brunetta. Esistono. «Il luogo comune dice: “Non fanno, e sono troppi”. In realtà in molti posti, come certi ospedali, sono pochi e lavorano molto. Riorganizzare si può, non è un problema. Noi chiediamo di estendere il sistema contrattuale privato al sistema pubblico». Sta dicendo che per la Cgil gli statali dovrebbero essere trattati come i dipendenti del settore privato? «Sì, con le stesse regole, compresa la mobilità contrattata, compresi i premi di risultato. Si deve passare dalla legislazione perenne alla contrattazione. E si deve incidere sull’inefficienza della pubblica amministrazione e sulla complessità del sistema, che lo rende corruttibile».