Raffaele Oriani, GQ 6/2014, 30 maggio 2014
L’UNTO DEL PALLONE
In un mondo sempre più piccolo ha conquistato spazi sempre più grandi. Dalla reggia faraonica che si è fatto costruire sulle colline di Zurigo, Sepp Blatter domina su 300 milioni di sportivi, 209 federazioni nazionali, un miliardo di dollari di fatturato. A 78 anni, il presidente della Fifa – Fédération Internationale de Football Association – è il sovrano assoluto di un impero su cui non tramonta mai il sole, nonostante decenni di intrighi: il calcio. «Ha un solo obiettivo», sintetizza un collaboratore, «traghettarlo dall’Europa all’interno del mondo globale».
Ce l’ha fatta, e ce la farà ancora: eletto nel 1998, ormai ultrasessantenne, aveva promesso che non sarebbe rimasto in carica più di otto anni; ne sono passati sedici e con un tweet ha già fatto sapere che «le voci che mi vogliono candidato anche per il 2015» sono fondate. L’impero è florido, ma la corte è marcia. «Le casse della Fifa sono piene», dice Guido Tognoni, giurista e giornalista che con lui ha lavorato per un decennio come capufficio stampa e consulente di marketing, «ma nel salvadanaio morale non c’è nulla».
Blatter è una persona squisita: conversa in cinque lingue, sa cantare e ballare, ha un sorriso per tutti, preferisce la fantasia di Messi alla potenza di Cristiano Ronaldo. A chi gli chiede se immagina di poter vivere senza la Fifa, risponde irridente: «C’è vita dopo la morte». Rintanato nel cuore del calcio, non ha intenzione di uscirne. Dice di essere un uomo di fede («Credo in Dio e in me stesso»), ma da vent’anni la Fifa è il tempio oscuro del suo potere.
Joseph Blatter detto Sepp, classe 1936, non nasce comodo come un sovrano ma tenace come un bimbo povero e prematuro: «Per sopravvivere ho dovuto lottare e quest’istinto non mi ha più abbandonato», ha raccontato. Cresce nel nome di un padre operaio, che ai propri figli augura di «non vestire mai una tuta blu». Ancora adolescente condivide il letto con il fratello Peter (forse per questo, da quando è in cima al pallone, gli alberghi del mondo non hanno abbastanza stelle per ospitarne le notti) ; si è pagato gli studi animando i matrimoni sulle Alpi e, secondo uno studioso olandese, compensa con un’ambizione smisurata il rovello di una statura più che modesta. Con un sorriso stampato sul volto e il doppiopetto inamidato, crea uno stile di comando disinvolto – che si tratti di donne, di denaro o di potere – sempre in bilico tra Machiavelli e Macario.
“Don Blatterone”, come l’ha ribattezzato il settimanale tedesco Der Spiegel, si sveglia ogni mattina alle 6 e balla per un quarto d’ora con le canzoni di Michael Jackson e Frank Sinatra. Poi fa ingresso a corte e non ce n’è più per nessuno. «Chiunque parli con lui ha la sensazione di essere al centro del suo mondo», spiega Tognoni. «Ma appena non gli servi più, ti liquida da un giorno all’altro, per interposta persona».
Markus Siegler, altro capufficio stampa “pentito”, lo accusa di essere divorato dalla vanità e di sentirsi ormai una sorta di “unto del Signore”. Cosa sarebbe disposto a fare pur di non mollare la poltrona? Risposta: tutto.
In effetti, nel maggio del 2010 un giudice cantonale di Zugo ha attestato che l’ex presidente della Fifa, João Haige, e il genero Ricardo Teixeira, presidente della Federcalcio brasiliana, hanno incassato negli Anni 90 circa 20 milioni di euro dalla concessionaria dei diritti televisivi dei campionati mondiali. Uno scandalo simile avrebbe minato qualsiasi organizzazione; Blatter, che di Havelange è stato per 17 anni l’onnipotente segretario generale, ammette di aver saputo delle mazzette ma fa spallucce, sorride e con un paso doble dichiara che secondo la legge svizzera «le “provvigioni” non sono reato».
A dicembre dello stesso anno, Teixeira e il fido Blatter sono tra i magnifici 22 che assegnano il Mondiale del 2018 alla Russia e quelli del 2022 al Qatar. I loro non sono i soli voti al di sotto di ogni sospetto: pochi mesi più tardi la Fédération Internationale espellerà il qatariota Mohamed bin Hammam, presidente della Confederazione asiatica, e il caraibico Jack Warner, presidente del calcio nord e centroamericano, per tentata corruzione nella corsa alla presidenza.
Un video surreale mostra il secondo che invita i colleghi dei Caraibi ad accettare un milione di dollari «per il bene del calcio». Il vecchio Warner è una delle figure più torbide dello sport: da sempre assicura i suoi pacchetti di voti a Blatter in cambio dei diritti tv dei Mondiali per Trinidad e Tobago. Come mai stavolta la Fifa usa la mano pesante e lo butta fuori? Semplice: ha cambiato casacca e promesso i voti al rivale di Blatter, Mohamed bin Hammam, espulso anche lui. Così, il primo giugno 2011, “l’unto del Signore” viene rieletto per il quarto mandato: «Noi nati poveri fatichiamo a salire», commenta il fratello Marco, «ma una volta in cima non è facile ricacciarci a valle». Sepp Blatter entra in Fifa nel 1975: è il 12° dipendente di un’associazione poco più che amatoriale. Niente soldi, magri stipendi, un impegno all’insegna di quello che poi definirà con spregio “volontariato”. Sebbene sia rimasta formalmente un’organizzazione no profit, oggi la Federazione Internazionale delle Associazioni Calcistiche ha 350 collaboratori, macina utili e si ritrova in cassa oltre un miliardo di dollari. Quello che era uno sport, è diventato un credo planetario: «L’unica cosa simile alla Fifa è la Chiesa», dice Blatter, «abbiamo entrambi una fede e un unico prodotto».
Conoscere l’entità delle fortune dei lupi di Wall Street è possibile, ma quanto guadagni il papa del calcio rimane un mistero gaudioso. «Tra stipendio e bonus, ben più di dieci milioni di euro», assicura un ex manager che chiede l’anonimato. «Non lo so», ammette Alexandra Wrage, una giurista canadese che fino alle dimissioni, nell’aprile 2013, faceva parte della commissione di riforma voluta dalla Fifa. «Pubblicare i compensi può essere imbarazzante, eppure corporation e grandi organizzazioni no profit lo fanno. Blatter, invece, preferisce non rispondere. Mai».
Né questo è stato l’unico nyet opposto dall’eterno Sepp ai conati di riforma che lui stesso ha promosso: «Si è rifiutato di fissare un limite di durata per le cariche», continua Wrage, «e di fronte alla rosa di candidati che avevamo proposto per le presidenze delle commissioni disciplinari, ci ha fatto sapere che una donna non sarebbe stata accettabile». L’uomo che ha lanciato il calcio oltre ogni confine, insomma, rimane un vecchio signore del secolo scorso: «Si vanta di essere l’unica persona al mondo ricevuta ovunque dai capi di Stato di ogni paese, ma in fondo è solo un relitto di quando la Fédération Internationale era un piccolo club per soli uomini», conclude Wrage. Gli italiani non gli perdonano la mancata consegna della Coppa del Mondo in Germania nel 2006, gli svizzeri hanno eletto la sua “Ethik-kommission” parola peggiore del 2010, gli inglesi gli rinfacciano di tutto: no, Sepp Blatter non gode di buona stampa. Ma per lui è quasi un vantaggio, la nuvola di sospetto che lo avvolge appanna lo sguardo e sfuma i particolari.
Tuttavia gli scandali della sua gestione sono tutt’altro che vaghi. Un esempio? Nel 2006 licenzia il direttore marketing per irregolarità nelle trattative con gli sponsor MasterCard e Visa; a sei mesi di distanza lo riassume, dopo che quelle irregolarità sono costate alla Fifa un accordo extragiudiziale da 60 milioni di dollari.
Tra andata e ritorno, l’aitante francese Jérôme Valcke da direttore marketing diventa segretario generale, ovvero la mano destra – oltre che quella sinistra – di Blatter. Succede solo alla Fifa. Com’è stato possibile? Ancor oggi, se interpellato, l’ufficio stampa della Federazione non risponde.
Lo scorso gennaio Jérôme Valcke ha annunciato la propria candidatura a presidente per il 2015: sarebbe la Fifa di Blatter dopo Blatter, ma l’originale ha già fatto sapere che c’è tempo per lasciare spazio ai cloni. Alla soglia degli ottant’anni è, incredibilmente, ancora il suo turno. Del resto, anche il Mondiale che il 12 giugno si apre in Brasile è un altro dei suoi colpi, l’ennesimo passo verso il calcio a globalizzazione integrale. Non a caso, quattro Confederazioni su sei gli hanno già promesso il voto, tra un anno. Oltre all’Oceania, manca solo l’Europa di Michel Platini, a lungo alleato e poi rivale del presidente.
Ma Sepp se la ride: a Zurigo ha la reggia, ma la sua corte è da sempre accampata tra i Tropici e l’Equatore. Chiunque abbia assistito a un Arsenal-Manchester o a un Real-Barcellona in un bar africano o in una medina araba sa che ha ragione: il cuore dell’impero è lì. Per questo Blatter è ancora al suo posto. Il resto sono danni collaterali; o peccati veniali, come li chiamerebbe l’unica istituzione a cui “don Blatterone” ami paragonare la propria.