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 2014  maggio 29 Giovedì calendario

DIAMANTI… I MIGLIORI AMICI


Centinaia di telecamere e massima sicurezza. Poco più di 2,5 chilometri quadrati a due passi dalla stazione centrale di Anversa. All’interno passa di mano il 75% dei diamanti grezzi e oltre il 60% di quelli lavorati per un mercato globale che vale 22 miliardi di dollari all’anno. All’incirca il 7% del Pil del Belgio, il Paese che, con quattro Borse, tagliatori, istituti di certificazione e duemila e cinquecento dealers registrati, da decenni si conferma l’indiscussa piazza mondiale delle pietre preziose. Dove nulla è cambiato rispetto al XVIII secolo. L’avvento del digitale non ha scalfito le tradizioni.
All’ingresso delle Borse ci sono alcune bacheche. Nelle prime sono appese foto formato passaporto. I nuovi commercianti fanno richiesta di ammissione. Per 60 giorni restano in stand-by. Si può essere respinti senza una motivazione scritta. La decisione del board non può essere messa in discussione. Perché è lo stesso gruppo di saggi a cui ci si rivolge per le controversie tra associati: due gradi di giudizio e il terzo spetta alla giustizia belga che nel 99% dei casi applica le medesime motivazioni, non avendo a disposizione periti più esperti di quelli della Borsa di Anversa. Nelle rimanenti bacheche ci sono le foto segnaletiche. Alcuni dealer sono indicati come cattivi pagatori e sospesi. Altri vengono banditi a tempo indeterminato. Perché quello dei diamanti è un mercato basato essenzialmente sulla fiducia. E sull’esperienza.
Mentre David Wahl, titolare della Wahl Diamonds che da tre generazioni commercia pietre grezze, versa sulla scrivania manciate di diamanti grezzi, spiega come riconoscere il diamante nascosto dentro il conglomerato grezzo e come individuare le inclusioni (difetti, ndr) che lo renderanno meno profittevole. Esistono software che scansionano la pietra ma l’occhio del tagliatore continua a fare la differenza. Oltre che il valore aggiunto del diamante finito.
“Su cento pietre solo 20 finiscono nell’alta gioielleria e di questa percentuale solo l’1 % può essere definita una pietra veramente pura”, spiega Alberto Osimo, presidente di Geci, uno dei quattro istituti gemmologici al mondo certificati CIJBO. “Oggi l’acquirente di gioielleria con diamanti”, prosegue, “è un consumatore attento che desidera ricevere spiegazioni precise e dettagliate sulle varie caratteristiche del diamante, sulle eventuali differenze di valore (e quindi di prezzo) e in generale sentirsi più tutelato nelle proprie scelte, sia dal punto di vista dell’informazione che della sicurezza. Il modo in cui il diamante è stato tagliato e lucidato, le sue proporzioni e simmetria sono di estrema importanza, poiché questi fattori determinano la vita, lo splendore e la dispersione della pietra. Per il resto esiste una classificazione che segue le lettere dell’alfabeto. Solo dalla D alla M si tratta di pietre quotabili. Per tutte si può dire con certezza che non esistono bolle speculative”.
Infatti tra la miniera e la gioielleria ci sono almeno otto-nove passaggi. La filiera lunga fa da un lato lievitare il prezzo ma dall’altro funziona da camera di compensazione. Effetto che negli ultimi anni ha stimolato la novità del settore. Sono sempre più i diamanti acquistati come bene rifugio da investimento. Cartina di tornasole è IDB, Intermarket Diamond Business, che attraverso 8mila sportelli bancari (presente anche in Italia, Svizzera e Slovenia) copre oltre il 95% della quota di mercato italiana tanto che lo scorso anno ha fatturato poco meno di 110 milioni. Una cifra notevole se si considera che è oltre un quarto dell’intero fatturato del settore della gioielleria e delle pietre preziose.
Nel 2002 in Italia sono stati venduti 22 milioni di euro in diamanti da investimento e nel 2011, anno boom, si è arrivati praticamente alla soglia dei 200. Per tornare a un valore più fisiologico. “L’investimento considerato nel medio e lungo periodo fornisce una serie di vantaggi”, spiega Andrea Giacobazzi responsabile acquisti IDB, “che rendono il diamante interessante anche per cifre inferiori ai diecimila euro con un periodo minimo consigliato tra i 5 e i 7 anni”. In sostanza tramite il canale bancario è possibile acquistare diamanti fisici, in alternativa, IDB può offrire un servizio di custodia nelle proprie casseforti. Immaginando un investimento di 50mila euro, è consigliabile un diamante da 8mila euro, uno da 12 mila e uno da 30mila. Al momento dell’acquisto il cliente paga l’Iva che recupererà alla vendita. Nessun altra tassa è dovuta.
Mentre i costi di commissione sono elevati per i primi tre anni. Poi si raggiunge il break even. Dal settimo anno in avanti sono stabili al 7% del valore.
Da ricalcolare su un rendimento medio annuo del 4-4,2%. In sostanza in 10 anni l’investimento da 50mila avrà reso più di 15mila euro netti. Niente di speculativo, ma niente male per un bene rifugio. “Per policy”, prosegue Giacobazzi, “trattiamo solo diamanti delle dimensioni tra il mezzo e il carato e mezzo. Una questione di liquidabilità”. IDB, infatti, garantisce all’investitore, tramite il mercato, il ricollocamento del diamante. Anche se al momento su circa un miliardo di venduto, la media di richieste di disinvestimento viaggia sull’1,5%. Visto l’andazzo dei mercati finanziari conviene guardare sul lungo termine.