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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

VIVERE SENZA MERLONI


A giugno dell’anno scorso gli oltre duemila dipendenti di Fabriano dell’Indesit si erano presentati in azienda con una maglietta azzurra, con sopra stampata l’immagine di Vittorio Merloni e la scritta “Ci manchi”. Una pacifica forma di protesta contro quel vuoto padronale che all’Indesit c’è da sette anni, da quando l’ottantunenne ex presidente si è ammalato gravemente, lasciando ai figli la responsabilità di mandare avanti un’industria che conta otto stabilimenti nel mondo e dà lavoro a 4.300 italiani, più altri 12 mila all’estero. Quelle t-shirt oggi giacciono in fondo al cassetto della biancheria: «Vittorio continua a mancarci, ma indietro non si torna. Quindi ai suoi figli chiediamo di prendere una decisione e di farlo in fretta, perché così non si va avanti», dice Stefano Balestra, uno dei dipendenti che sta pagando con la cassa integrazione lo scotto più pesante di un’azienda rimasta senza il suo capitano.
Scegliere, tuttavia, non è semplice. Se un tempo era Vittorio a prendere le decisioni cruciali per un gruppo che rappresenta il secondo produttore europeo di elettrodomestici, i quattro figli - Maria Paola, Andrea, Aristide e Antonella - si sono ritrovati divisi fra non deludere le aspettative del padre e neppure le persone che dipendono dalla fabbrica, oltre a fronteggiare una situazione economica per nulla facile. Ci hanno provato ma, da ultimo, sono arrivati a una decisione che non tutti e quattro sembrerebbero condividere pienamente, quanto meno sulle migliori modalità per metterla in atto. Quella di trovare un partner internazionale o, addirittura, di vendere. Se le cose sono andate così, è per via di un passaggio generazionale rimasto incompiuto, come dimostra l’assetto di Fineldo, la cassaforte di famiglia che controlla il 43 per cento di Indesit: Vittorio, pur avendo diviso tra i figli e la moglie Franca Maria la nuda proprietà delle quote, ne aveva mantenuto l’usufrutto.
Immaginare un gruppo storico come l’Indesit senza un Merloni non è facile. Il padre di Vittorio, Aristide, era stato capace di cavalcare alla grande gli anni del boom economico, creando un marchio come Ariston che, poi, il figlio aveva saputo portare in tutta Europa, tessendo una straordinaria rete di rapporti internazionali. In questi anni di limbo, nessuno dei quattro nipoti del fondatore ha avuto però la forza di rilevare le quote degli altri e, per superare lo stallo, a gennaio il Tribunale di Ancona aveva addirittura nominato un tutore per l’ex presidente di Confindustria, il professore bolognese Angelo Paletta. I Merloni hanno fatto ricorso. E così la scelta è ricaduta su Aristide, 46 anni, mai in prima fila negli affari dell’azienda ma, si dice, portato a mediare tra le varie anime della famiglia. Infatti, se tutti hanno sempre cercato di mantenere il riserbo sulle divergenze e se nelle dichiarazioni ufficiali i quattro fratelli si sono mostrati uniti, nei fatti sembrano esserlo un po’ meno. Come quando un anno fa Andrea, gemello di Aristide, è stato disarcionato dalla poltrona di presidente del gruppo. Il padre lo aveva scelto come delfino, apprezzandone le capacità imprenditoriali ma cogliendo di sorpresa chi si aspettava che indicasse la primogenita Maria Paola, da sempre la più impegnata sul fronte delle relazioni industriali. Lei, da tempo, si è buttata in politica, cursus honorum in Margherita, Pd e ora al Senato con Scelta Civica, ma alle incombenze romane ha sempre anteposto il ruolo di imprenditrice, ai vertici dell’area commerciale e vestendo, in passato, i panni di presidente di Confindustria Marche. E poi c’è Antonella, esperta di finanza ma non d’industria, a lungo impegnata in Fineldo.
Andrea è dunque la persona chiave per intuire qualcosa in più della Dynasty silenziosa dei Merloni. Nel 1995 il papà gli aveva regalato la Benelli, motociclette, perché si facesse le ossa in un’azienda vera e propria. Vittorio andava spesso in tribuna a tifare per la scuderia del figlio, lui stesso un biker appassionato, ma i costi di un mondiale si erano rivelati insostenibili, rendendo necessario vendere il marchio pesarese ai cinesi di Qianjiang. Comunque, Andrea nel 2008 viene nominato vice presidente dal padre e quattro anni più tardi i fratelli gli danno la possibilità di guidare il gruppo. Quell’esperienza, però, dura poco. La crisi vanifica le chance di espansione che Andrea aveva ipotizzato, in Cina e in Brasile, una volta che l’Indesit aveva superato le ingenti perdite operative accusate inizialmente con l’inglese Hotpoint, acquistata da Vittorio nel 2002 e ora - dopo un duro risanamento - diventata un punto di forza del gruppo. Un’ulteriore ipotesi di sviluppo viene abbandonata nel 2012, quando si presenta l’occasione di comprare i piccoli elettrodomestici Braun. L’operazione viene portata in consiglio ma, alla fine, gli amministratori non se la sentono di affrontare un mercato del tutto nuovo con un investimento di un certo peso, in un momento in cui la recessione sembra mordere meno ma - come poi si è visto - non è ancora finita.
Qualche tempo dopo arriva il segnale più tangibile delle tensioni in famiglia. Andrea lascia la presidenza all’amministratore delegato Marco Milani, cresciuto in azienda e apprezzato da Vittorio, e passa in Fineldo, assumendone la guida al posto di Antonella. Le cose però non vanno per il verso giusto, visto che dopo pochi mesi gli subentra il commercialista Angelo Casò.
La svolta è legata, probabilmente, alla decisione di cercare un partner o un compratore. Un’idea che, in famiglia, covava da tempo. Anni fa era stato lo stesso Vittorio a ipotizzare un matrimonio in grande stile e suo fratello Francesco, che ha intrapreso una strada tutta sua, puntando sulla Ariston Thermo Group (del tutto indipendente dalle attività degli elettrodomestici) la pensa allo stesso modo: «Indesit ha bisogno di un partner. L’azienda non può stare sul mercato da sola», ha detto quest’anno.
Difficile dire come, nella propria testa, ognuno dei quattro fratelli viva l’ipotesi di vendere, o di trovare un socio forte. Si dice che Andrea fosse il più schierato per l’indipendenza del gruppo, e che nei consigli il clima non fosse dei più distesi. Ma il punto è un altro. Alla fine dello scorso anno, infatti, il management dell’Indesit ha disegnato un piano industriale capace di generare cassa e profitti nel giro di due-tre anni, approvato all’unanimità. Lo stesso presidente Milani, però, ha illustrato agli azionisti quali sarebbero i vantaggi di un’aggregazione con un concorrente, che permetta al gruppo di uscire dai confini d’Europa, rendendo l’Indesit meno legata al ciclo del mercato di riferimento. Raccontano che sia stato questo il momento in cui Fineldo ha rivelato di aver già intrapreso la ricerca di un partner. Diversi i nomi circolati da allora, su cui sta lavorando Casò con i consulenti della holding. Si parla di Whirlpool, che ha incontrato i vertici della Regione Marche. A Fabriano sono stati visti di recente anche emissari cinesi, forse della Haier, in cui sperano i dipendenti, che in caso di aggregazione con Whirlpool temono un piano lacrime e sangue. Si vedrà se i nomi saranno questi o se ne spunteranno altri, a sorpresa. Sta di fatto che, in queste settimane, i quattro fratelli devono prendere una decisione. Se restare nel nuovo gruppo o, al contrario, uscire di scena.