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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

MARIOTTI DEI DUE MONDI


Di carattere ne ha da vendere, Michele Mariotti, pesarese 35enne, fra i più affermati giovani direttori, che il 2 giugno condurrà l’Orchestra della Rai per la Festa della Repubblica, e il 6 giugno porterà sulle scene del Teatro Comunale di Bologna il “Così fan tutte” di Mozart con la regia di Daniele Abbado. Gli danno del raccomandato, ricordando il padre Gianfranco, storico sovrintendente del Rossini Opera Festival, e lui risponde con i fatti, con il suo talento, conquistando l’apprezzamento di critici dai gusti difficili come Paolo Isotta e il nostro Giovanni Carli Ballola. Nel 2007 il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, in relazione alle norme che prevedevano agevolazioni sugli affitti per i più giovani, dichiara, a proposito dei suoi coetanei: «Mandiamo i bamboccioni fuori di casa». Subito dopo i giornali titolano in risposta: «E io li vendico dal podio», prendendo spunto da alcune riflessioni di Mariotti in occasione del suo prestigioso esordio all’inaugurazione stagionale del Comunale di Bologna. Similmente, in barba ai luoghi comuni piuttosto iettatori, per i quali nel mondo della lirica non c’è niente di più temuto di marito e moglie che si mettono all’Opera insieme, Mariotti non ha scrupoli nell’impalmare l’avvenente soprano russo Olga Peretyatko, abbandonando quindi definitivamente la schiera dei bamboccioni. Di norma, la coppia fa scoppiare per primi i sovrintendenti che li contattano, perché tra i coniugi spesso uno è più bravo dell’altro e il primo impone la scrittura del secondo. Ma non è certo questo il caso, essendo entrambi più che felicemente in carriera.
Insomma, Mariotti è una persona, e un interprete musicale, di carattere, “di polso”, come si dice nell’ambiente. Qualità che però non basta da sola a spiegare una bacchetta vincente: «Con i miei orchestrali mi pongo semplicemente per quello che sono. Essere di polso non significa essere autoritari», spiega Mariotti a “l’Espresso”. «Per un ensemble ci vuole innanzitutto una guida con idee precise. Non dobbiamo essere dittatori, urlare o trattare gli strumentisti come esseri inferiori. Le tue idee non sono la Bibbia, non facciamo una gara a chi è più bravo dell’altro. In teatro si lavora insieme, per un risultato comune». E ricorda con simpatia una frase del grande collega Carlo Maria Giulini: «Quando mi chiamano in sala prove, io non dico che vado a dirigere, ma a suonare con altri musicisti».
Mariotti è ormai apprezzato anche all’estero. Ha debuttato al Metropolitan di New York nell’ottobre 2012 con “Carmen”, ci è tornato nel gennaio 2013 con “Rigoletto” e nello scorso aprile con “I Puritani”. Riscuotendo un successo tale da esser invitato nella prossima stagione con l’accoppiata rossiniana formata da “Barbiere di Siviglia” e “Donna del Lago”. Sempre in America lo scorso febbraio ha debuttato alla Lyric Opera di Chicago con il ”Barbiere di Siviglia”, e subito l’hanno prenotato per la “Bohème”. In America la musica d’arte italiana “tira” ancora? Gli chiediamo. «Raccoglie enormi e vasti consensi, da parte degli addetti ai lavori come del pubblico», risponde Mariotti. Nota delle differenze, che so, fra il pubblico americano e quello francese? «Ogni pubblico ha la sua anima. E molto dipende anche dal brano che viene portato in scena. Un esempio: a breve intervallo di tempo ho diretto i “Puritani” di Bellini a Parigi e a New York. Ebbene: ho notato che Oltralpe questo tipo di belcanto non è considerato interessante, quasi musica di serie B; mentre negli Stati Uniti è ritenuto preziosissimo come lo è da noi. Una questione di cultura legata a un uso, a un’abitudine, suppongo». In questo senso al Metropolitan avranno avuto il loro peso anche le scelte del direttore James Levine, raffinato conoscitore di questo repertorio. «Però, sempre a Parigi, al mio debutto con l’Orchestre National de France, ho fatto un programma sinfonico con un comun denominatore italiano (l’ouverture dalla “Semiramide” di Rossini, il “Capriccio italiano” di Ciaikovskij e le “Feste romane” di Respighi), ottenendo una vivida affermazione».
Prossimo alla nomina di direttore musicale dello storico teatro felsineo, gli chiediamo quale sia la ricetta per spendere bene i finanziamenti pubblici, soprattutto per quel che riguarda i programmi delle stagioni d’opera e concertistica. «Non bisogna ragionare in astratto, ma mettersi in relazione con la realtà in cui si lavora. Bologna ha una storia lunga e importante. Dobbiamo trovare quella giusta via di mezzo fra il rispetto della tradizione e l’educazione del pubblico, facendo capire agli spettatori che la musica non finisce con ciò che si conosce. L’apertura al repertorio delle opere moderne e contemporanee deve essere fatta in maniera intelligente, senza esercitare violenza. Un paio d’anni fa interpretai “Il prigioniero” di Luigi Dallapiccola, capolavoro assoluto del Novecento: il risultato fu che il teatro era pieno per metà. Successivamente portai in scena Beethoven e Brahms, incorniciati da uno Schoenberg difficile: ebbene, il teatro era gremito». E cosa pensa riguardo alle regie d’opera? «Moderne o tradizionali fa lo stesso, l’importante è che siano belle e intelligenti.Tante volte considero come i registi allestiscano un’opera lavorando solo sul libretto e non sulla parola in relazione alla musica. La musica non è un sottofondo: è drammaturgia che suggerisce colori e atmosfere».
Ma veniamo al prossimo “Così fan tutte” e ai suoi protagonisti: se l’inquieta Dorabella, forte della sua convinzione che “È amore un ladroncello (...) che toglie e dà la pace”, si arrende al primo sguardo a una pulsione irrefrenabile che già covava in lei, chi potrebbe dubitare che non sia vero amore quello tra i più riflessivi Fiordiligi e Ferrando? «Sì, credo che nella coppia formata da Dorabella e Guglielmo l’aspetto carnale sia preponderante. Mi affascina Mozart con le sue provocazioni intellettuali: ci pone di fronte a noi stessi, ci denuda. Credo che in questa storia dal finale amaro i due giovani protagonisti maschili, Ferrando e Guglielmo, siano i più colpevoli, avendo compiuto il peccato originale di mancar di fiducia alle rispettive compagne. E Don Alfonso non è, come i più pensano, il cinico che si diverte a distruggere le due coppie di partenza proponendo con il travestimento lo scambio d’amante. È colui che certifica una situazione, non ne è la causa. In un rapporto, se non c’è la fiducia, l’amore viene meno», riflette Mariotti. A proposito, come vanno le cose con la sua sposa, il soprano Olga Peretyatko? «Abbiamo due belle carriere entrambi. I problemi di solito nascono se uno dei due è bravo e l’altro un “cane”. E poi, in fondo, facciamo due mestieri diversi: io dirigo e lei canta. Se incontrassimo avversità, sarebbero dovute ai motivi tipici di una coppia normale».