Claudio Lindner, L’Espresso 30/05/2014, 30 maggio 2014
TRA ANGELA E MARINE
Le colpe dei padri non devono ricadere sulle figlie. Verissimo, sia mai. Limitiamoci allora a spiare nel Dna politico delle due primedonne europee, Marine Le Pen e Angela Merkel, per vedere se è rimasto qualcosa delle eredità paterne. Pare proprio di sì. Prendiamo la trionfatrice del Front National in Francia. Papà Jean-Marie Le Pen, classe 1928, fondatore del partito e ancora in circolazione, è un nazionalista a 360 gradi, xenofobo, ex legionario, paracadutista in Vietnam e Algeria, a suo tempo fan di Giorgio Almirante, oggi intimo di due Vip della destra come Brigitte Bardot e Alain Delon. In un album fotografico spiega a pagina 74 la gerarchia dei suoi sentimenti: «Amo le mie figlie più dei miei cugini, i miei cugini più dei vicini di casa, i vicini di casa più di chi non conosco e chi non conosco più dei miei nemici. Poi amo gli europei...». Chiaro no?, prima i nemici, poi l’Europa. La figlia Marine, autrice dell’exploit elettorale grazie al quale il Fn è diventato il primo partito di Francia, ha fatto una campagna nazionalpopulista, sciovinista e antiimmigrati. Domanda: ha vinto perché ha attenuato i toni rispetto al padre, più soft e digeribili da larghi strati di popolazione, oppure per il vento cambiato tra i francesi?
Papà Merkel, classe 1926, era un pastore protestante di origini polacche che cambiò il nome da Kazmierczak a Kasner. Al liceo faceva parte della Hitler-Jugend. Ha studiato teologia e si è trasferito ad Amburgo. Poi, colpo di scena, chiede di essere mandato nella Germania Est: tutti vogliono scappare all’Ovest, lui va controcorrente e si avvicina al regime comunista al punto da venire chiamato “Kasner il rosso”, contrario alla riunificazione delle Germanie. Predica giustizia, disciplina, rigore e austerità. Un’impostazione nella quale si specchia la Cancelliera, al punto da renderla invisa a tanti europei. Anche lei ha problemi col cognome: si chiama Kasner, sposa un Merkel, divorzia, si risposa con Joachim Sauer, ma continua a chiamarsi Merkel. Domanda: insisterà la Cancelliera di ferro con quella sua rigidità avversata da molti elettori come sancito domenica 25?
Attorno ai due quesiti si gioca la partita tra le due star dell’europolitica. In ballo ci sono i rapporti Francia-Germania, cruciali per tenere in piedi l’Europa. La differenza, al momento, sta nel fatto che Merkel è saldamente al comando sia pure attraverso la grande coalizione con i socialdemocratici in fase di rimonta, mentre Le Pen ha conseguito un successo virtuale visto che all’Eliseo e al governo ci sono i socialisti, colpiti da una disfatta elettorale senza precedenti. Marine ha chiesto a François Hollande di sciogliere l’assemblea nazionale e di andare al voto, ma il presidente ha risposto picche. Quindi il Front National dovrà rassegnarsi ad alzare la voce all’europarlamento di Strasburgo dove diventa il polo aggregatore dell’estrema destra assieme alla Lega di Matteo Salvini. In Francia resta all’opposizione. Ma bisogna vedere quanto questa situazione durerà.
Diventa cruciale capire, a questo punto, come il voto potrebbe trasformare gli equilibri nell’asse tra Berlino e Parigi, ritenuto indispensabile per la stabilità dell’Europa. Hollande, acciaccato e indebolito sia dall’esito delle urne sia dalla crisi dei conti economici domestici diventa un interlocutore fragile per la Cancelliera. Che però non ha alcun interesse a isolarsi. Tra l’altro i rapporti tra i due stavano migliorando dopo un avvio parecchio turbolento, con il gelo totale al vertice Ue del gennaio 2012 e la definizione lapidaria del francese (marzo 2013) che aveva definito la loro «un’amichevole tensione». Chi ricordava la forza del tandem Adenauer-De Gaulle o Kohl-Mitterrand o anche Merkel-Sarkozy, aveva notato subito la falsa partenza e quanto fosse complicato l’ostacolo austerità-crescita con il presidente francese neoeletto all’Eliseo che si era subito prodigato a favore di un ribaltamento delle strategie verso una maggiore espansione economica anche a scapito di conti pubblici meno equilibrati, raccogliendo consensi tra i Paesi del Sud Europa. Hollande ha poi avuto diversi incidenti di percorso, personali e politici, tra cui un peggioramento dei conti pubblici.
Forse non a caso l’ultimo vertice bilaterale, tenutosi sul Baltico all’inizio di maggio, ha mostrato qualche passo avanti. Qualche sorriso in più. Un commentatore del quotidiano berlinese “Der Tagesspiegel” fa notare che entrambi sono tattici prudenti, hanno uno stile moderato, sono poco inclini alla politica-spettacolo, per certi versi si assomigliano, anche se l’inquilino dell’Eliseo ha più volte sottolineato che la pensano in modo molto diverso. Si danno del “tu”, il rapporto si è un po’ riscaldato, sul Baltico sarebbe nata una sorta di complicità.
C’è tra l’altro in atto una grossa partita industriale tra i due Paesi. La francese Alstom vuole vendere la divisione energia, un affare di diversi miliardi di euro, molto delicato per il palato nazionalista dei francesi visto che a farsi avanti sono due multinazionali straniere, la tedesca Siemens e l’americana General Electric. Ci sono state offerte e rilanci, ma al momento non risulta essere stata presa alcuna decisione dall’azienda e dalle autorità francesi. La Cancelliera ha dichiarato il 10 maggio la disponibilità a sostenere un accordo Alstom-Siemens, aggiungendo che si tratta comunque di una decisione aziendale. Gli americani sono più avanti nella trattativa, ma in Francia al momento sembra essere caduto il silenzio sulla vicenda.
Gli umori tra tedeschi e francesi in genere non sono ai massimi storici. Una ricerca fatta l’anno scorso aveva rivelato che una quota molto alta e simile, attorno al 90 per cento, si dice soddisfatto delle relazioni tra i due Paesi. Ma alla domanda se si giudica il rapporto equilibrato, ha detto sì l’85 per cento dei tedeschi e solo il 41 per cento dei francesi. In questo clima, la vittoria di Marine rischia di cambiare tutti gli equilibri. Angela è la nemica numero uno, incarna la cattiva egemonia tedesca sull’Europa, la sostenitrice dell’euro, la maestrina che vuole dare lezioni di vita e guardare nel portafoglio delle famiglie francesi, la castigatrice della sovranità nazionale. Marine vista da Berlino è populista, sfascista dell’euro, antistabilità.
Le due rivali e, in mezzo, un Hollande cane bastonato. I prossimi mesi non saranno dunque facili per l’asse franco-tedesco che sembrava piano piano riprendersi e torna invece in una fase di incertezza, in una tormenta dalle conseguenze imprevedibili. Non tanto sulle nomine che saranno decise nelle prossime settimane per occupare le poltrone istituzionali, quanto sulla visione strategica per l’Unione che verrà. La Germania spinge sul pedale dell’acceleratore e molta attesa c’è nelle cancellerie e nelle diplomazie per un discorso annunciato (17 luglio) dal ministro dell’Economia, Wolfgang Schäuble, definito «molto importante» sul fronte dell’orgoglio e dell’identità da dare all’Europa. Hollande è a questo punto in mezzo al guado, stretto tra forti pressioni nazionaliste interne con un’economia debole per se stessa e ancor più se confrontata a quella del tradizionale alleato, e la necessità di dare una risposta alla Merkel sul futuro e sulle prospettive.
L’indebolimento, se non addirittura una rottura dell’asse Berlino-Parigi sarebbe un disastro per l’Europa e quindi verrà compiuto ogni sforzo per evitarlo. Un ruolo di mediazione, se non di sostituzione (ma è prematuro per dirlo) potrebbe assumerlo Matteo Renzi, unico leader europeo e socialdemocratico ad aver avuto un indiscusso successo e che ha detto di volersi impegnare a rinnovare rapporti e istituzioni. Certo, anche nel suo caso il lato debole è rappresentato dall’economia nazionale, sempre sotto osservazione a Berlino. Ma anche Merkel avrà capito domenica sera che non si può vivere di sola austerità.