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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

QUANDO TUTTI TIFAVANO AUSTERITÀ


Ora che finalmente si è votato, si può tranquillamente dire che è stata una fortuna che i leader fossero molto impegnati a insultarsi a vicenda e poco a parlare di Europa. Le rare volte che ne parlavano, infatti, era per raccontare frottole o per fare promesse impossibili da mantenere. Sappiamo benissimo che chiunque promettesse di andare a Bruxelles, o a Strasburgo, o direttamente a Berlino dalla Merkel a "battere i pugni sul tavolo" per ridiscutere o addirittura stracciare trattati e parametri, casomai ci provasse, non avrebbe i pugni o non troverebbe il tavolo. Molto meglio parlare di cose nostre, visto che almeno in Italia i politici possono ancora decidere qualcosa.
Poi, magari, un giorno, quando avremo cancellato qualcuno dei 42 record negativi che - secondo i calcoli di Confartigianato - fanno di noi il fanalino di coda d’Europa, potremo riaffacciarci oltre la cinta daziaria per pigolare qualcosa. Possibilmente con un bell’esame di coscienza sul passato. Oggi è facile, addirittura banale proclamare che il "rigore" finanziario è stato una follia, a partire dal vincolo del 3 per cento sul rapporto deficit-pil ("anacronistico", per dirla con Renzi).
PECCATO CHE TUTTI I PARTITI che sostengono il governo, e anche quelli che vi si oppongono (a parte i 5Stelle che non c’erano ancora), abbiano votato esattamente due anni fa, il 20 aprile 2012, il vincolo dello 0 per cento. E con legge non ordinaria, ma costituzionale, inserendo il pareggio di bilancio addirittura nella Carta fondamentale. Al governo, da cinque mesi, c’era Mario Monti. L’austerità era vangelo. Ma lo zero per cento gliel’aveva lasciato in eredità Berlusconi, firmando nel marzo 2011 il patto Eoroplus da cui derivò il famigerato Fiscal compact e, appunto, il vincolo dello zero per cento, citato anche nella nota lettera della Bce (agosto 2011). Fu così che il 7 settembre, due mesi prima di defungere, il governo Berlusconi presentò al Parlamento un ddl per infilare il pareggio di bilancio nella Costituzione. Ddl analoghi li avevano presentati o li presentarono di lì a poco quasi tutti gli altri partiti: dal Pd (primo firmatario Bersani) all’Idv, dal Pdl al Terzo Polo centrista. Il dibattito iniziò alla Camera in ottobre, proseguì dopo il passaggio di consegne fra il Caimano e il Professore, e si concluse in aprile a tempo di record (per una legge costituzionale, con doppia lettura nei due rami del Parlamento).
RENZI NON ERA ANCORA LEADER del Pd, ma il suo attuale sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, pontificava: «Il metro di misura del risanamento è un bilancio non in rosso. Il discrimine non è obbligatoriamente l’avanzo, che pure non guasta, ma certo l’abbattimento del disavanzo». Giuliano Cazzola, all’epoca berlusconiano e ora montiano, si astenne perché voleva più lacrime e più sangue: «La norma doveva essere più netta: non può contenere riserve che consentano di derogare al pareggio». Anche l’allora finiano Benedetto Della Vedova, ora sottosegretario di Renzi, non si accontentava: «Mancano strumenti che inchiodino la politica». L’alfaniano Giuseppe Marinello evocava scenari sudamericani: «Non sono bastate le lezioni del Cile del 1973, dell’Argentina degli anni scorsi, della Grecia quest’anno? Paesi dove un Welfare insostenibile ha alimentato il debito e poi portato alla bancarotta e alla guerra civile». E i leghisti, ora tutti accaldati contro l’Europa cattiva e la Merkel vampira? Ecco il padano Alberto Simonetti: «L’economia sociale di mercato ha messo in crisi il dogma del pareggio di bilancio che fu raggiunto in tempi lontani, per esempio nel 1897, dal biellese Quintino Sella. Lo dico da presidente della provincia di Biella». Anche la montiana Linda Lanzillotta non aveva dubbi: «È un passaggio importante, anche se arriva purtroppo con trent’anni di ritardo». Enrico Letta, che poi da premier finse un giro d’Europa contro il rigore, scandiva stentoreo: «Noi assumiamo questa sfida per il destino di noi europei e soprattutto per il futuro dei nostri figli». Alla Camera, in due letture, i No al pareggio di bilancio furono 3. In Senato, nessuno. Tutta colpa della Merkel, si capisce.