Glauco Maggi, Libero 30/05/2014, 30 maggio 2014
NEL CERVELLO DEI MARINES
Il nemico va combattuto attaccandolo direttamente. Lì, sul posto, con le jeep nelle colline afghane o con i droni guidati da lontano, sempre con l’obiettivo di eliminare i talebani che vogliono colpire l’America e i suoi alleati. Ora però il Pentagono ha scoperto di avere un avversario che è più letale dei terroristi, il suicidio, e ha detto basta: i morti in combattimento in Afghanistan sono stati 119 l’anno scorso, e i militari in servizio che si sono ammazzati sono stati più del doppio, 301. Per non parlare dei veterani, che “cadono” al ritmo di uno ogni ora o poco più, una media di circa 8mila all’anno nell’ultimo decennio. Chi arma la mano per colpire se stessi, ma spesso anche parenti ed estranei, è la sindrome da stress post traumatico (PTSD, Post Traumatic Stress Disorder), quel “cancro” della mente che tanti reduci si portano dentro se sono sopravvissuti agli attimi devastanti di uno scontro a fuoco, di una granata che ha falciato il compagno, di una bomba “improvvisata” esplosa sotto il carro armato. «È un’epidemia», aveva ammesso Obama l’estate scorsa. Un “nemico”, l’hanno dichiarato gli scienziati della Difesa Usa. E hanno deciso di combatterlo lì, sul posto, ossia al di là della corteccia cerebrale, nei labirinti del pensiero e della memoria. L’arma sarà un chip, una spia capace di decrittare i segnali d’allarme che si materializzano nelle variazioni infinitesimali di quella porzione del cervello chiamata amigdala, deputata a governare le tensioni e le emozioni umane. È il nuovo campo di battaglia che finora era stato immaginato solo dalla fantasia dei cineasti, campioni del futuro che sarà.
Nel fantascientifico Minority Report con Tom Cruise, il film del 2002 di Steven Spielberg, la squadra PreCrime è un’unità di polizia che anticipa i piani dei criminali perché aiutata da tre precogs, persone dotate di qualità paranormali che consentono di leggere nelle “intenzioni” della gente. È il “mito” della possibilità umana di orientare la volontà altrui, da fuori, che dalla fiction si sta trasformando in realtà.
Con un primo stanziamento di 12 milioni di dollari, che saliranno a 26 se saranno raggiunti i primi risultati attesi, la Darpa (agenzia dei progetti di ricerca avanzata del ministero della Difesa) vuole «scavare in profondità dentro il tessuto soffice del cervello per registrare, prevedere e sperabilmente curare l’ansietà, la depressione e altri disturbi dell’umore e della mente», ha scritto sul sito DefenseOne, specializzato in materia militare, l’esperto in tecnologia Patrick Tucker. Al lavoro ci sono scienziati della università della California, il Laboratorio nazionale Lawrence Livermore e la società Medtronic, che utilizzeranno il primo stanziamento per costruire un impianto cibernetico i cui elettrodi penetreranno nel cervello. Le cavie dei primi esperimenti, previsti non prima di 5 anni, rivivranno ciò che ha provato sullo schermo (nel film Manchurian Candidat del 2004, basato su un racconto del 1959) Denzel Washington, il veterano della Guerra del Golfo Ben Marco. Al suo rientro, coinvolto in un complotto della Manchurian Global che vuole conquistare la Casa Bianca, scopre di aver subito il lavaggio del cervello quando era stato vittima dello stress in
battaglia. E di avere ancora un chip nella schiena, esperimento di nanotecnologia della corporation cattiva per usi perversi di dominio della volontà.
Il Pentagono della realtà sta inventando invece i chip “buoni”, trincea scientifica che vuole salvare i soldati catturati dalla PTSD. Una volta che i soggetti considerati a rischio mentale verranno “armati” dell’impianto, gli scienziati potranno mappare con precisione l’attività cerebrale, analizzarla, e possibilmente correggere le anomalie emerse, sconfiggendo il nemico invisibile che è dentro di loro. Tecnicamente, la “terapia” sarà una lievissima scarica elettrica al cervello, del tipo degli stimolatori cardiaci attivati dopo un infarto. Il rozzo e screditato electrochoc, abbandonato dalla scienza medica nel secondo scorso, cerca una seconda chance.