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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

ECCO LA GUERRA DEI LIBRI CHE DECIDERÀ IL FUTURO DELL’EDITORIA


Jeff Bezos lo ha sempre detto: il focus di Amazon è il cliente. E «al cliente piacciono prezzi bassi, vasta scelta e consegne veloci». Quindi ciò che alza i costi, limita la varietà dei prodotti o rallenta la distribuzione, va eliminato. Filosofia che Bezos applica inflessibilmente anche a una merce molto particolare come il libro. Da tempo infatti il fondatore del gigante di Seattle ha dichiarato guerra al «vecchio» mondo dell’editoria. Da una parte c’è il colosso del commercio elettronico, che promette ai propri clienti un paradiso in cui i libri costano sempre meno, dove chiunque può pubblicare e le case editrici non possono decidere ciò che si vende; ma, c’è da aggiungere, che ha anche creato un mercato digitale dal nulla, offrendo una vetrina meravigliosa a tantissimi piccoli editori che sopravvivono proprio grazie a Amazon. Dall’altra ci sono gli editori tradizionali che continuano a credere, spesso un po’ comodamente però, a un mondo in cui i libri sono un prodotto «diverso» da qualsiasi altro, che loro scelgono, selezionano, curano, pubblicano, ponendosi come mediatore insostituibile tra chi scrive e chi legge.
Due filosofie difficilmente conciliabili.
Infatti la guerra dei libri, anzi per essere più precisi dei non-libri, perché ciò di cui parliamo riguarda ( per ora) solo gli e-book, in questi giorni è a un punto di svolta. «La posta in gioca è alta, si tratta di vita o di morte - ha detto il direttore editoriale di Digital Book World, Jeremy Greenfield - . In palio c’è il controllo dell’editoria». Ed ecco il campo di battaglia: in vista del rinnovo del contratto per la vendita da parte di Amazon degli e-book del gruppo editoriale Hachette, il gigante di Seattle - che vorrebbe una quota maggiore delle vendite per sé e ridurre il prezzo al pubblico- sta mettendo alle corde la maison francese penalizzando i suoi libri in vario modo: causando ritardi nelle consegne, non consentendo ai clienti della piattaforma di e-commerce di effettuare dei preordini sui titoli in uscita dell’editore, oppure mettendoli in minor evidenza sul sito. La stessa tattica, peraltro, che Amazon ha applicato in passato con McMillian negli Stati Uniti e ora anche in Germania con Bonnier. Il timore, come sottolineano i commentatori economici, è che Amazon forte della propria quota di mercato ( circa il 50%) stia puntando a un monopolio del libro, posizione che vuole raggiungere con ogni mezzo. Tanto che qualcuno ha paragonato Jeff Bezos a Tony Soprano. E non per una vaga somiglianza fisica. «The Author’s Guild», l’associazione degli autori americani, ha già dichiarato di considerare «illegale» quanto fatto da Amazon e cerca appigli per una denuncia all’Antitrust.
Il nodo della questione, al di là degli aspetti strettamente commerciali o legali della vicenda, però, è la rivoluzione culturale che tutto ciò potrà causare dentro il mondo dei libri. E-book o cartacei che siano. Come fanno notare i vertici di Hachette: «Amazon dimostra di considerare i libri come qualsiasi altro bene per i consumatori. Ma non lo sono». E soprattutto Amazon dimostra di non riconoscere il ruolo dell’editore nella scelta di cosa pubblicare, se pubblicarlo, come pubblicarlo, con tutto ciò che ne consegue riguardo la funzione-svolta da qualche secolo ormai- di selezione, cura e controllo da parte dell’editore indipendente: una figura-ponte (autorevole e riconosciuta) tra lo scrittore e il lettore che Amazon vuole far saltare. Jeff Bezos, del resto, oltre a fornire agli autori-utenti un servizio di self-publishing (attraverso Kindle Direct Publishing e alla piattaforma CreateSpace) ha chiesto a molti scrittori inglesi famosi di abbandonare il proprio editore e pubblicare direttamente con lui, allettandoli con ricche royalty (fino al 70% sulle vendite).
La guerra, come si capisce, lascerà sul campo parecchi morti.
Non è difficile prevedere, visti i rapporti di forza (economica) in campo, chi uscirà vincitore (Amazon non è disposto a cedere per alcun motivo...). Ma è una guerra che insegna due cose. La prima è che i grandi gruppi editoriali, se vogliono salvarsi, non possono solo accusare il gigante «cattivo» di scorrettezza, ma devono darsi da fare per essere loro più competitivi, inventarsi nuove modalità di distribuzione, «prodotti» diversi, per battere Golia sul suo stesso campo. La seconda è quanto sia marginale la discussione che riempie gli spazi dei media e la bocca degli addetti ai lavori sul futuro del libro, inteso come «forma»: digitale o cartaceo; la vera domanda semmai è: quando sarà la stessa «persona» a scegliere chi (auto) pubblicare, come pubblicare, cosa distribuire e a quale prezzo vendere, si potrà ancora parlare di libro? O solo di «merce»?