Sergio Romano, Corriere della Sera 30/05/2014, 30 maggio 2014
COME È STATO SVUOTATO L’ARSENALE NUCLEARE UCRAINO
Mi sembra di ricordare che quando si è disgregata l’Unione Sovietica c’è stato un qualche accordo tra gli Stati Uniti e la Russia in forza del quale tutte le armi nucleari che si trovavano in Ucraina vennero portate in Russia, così da evitare una proliferazione. Era solo questo l’accordo? O prevedeva anche che l’indipendenza dell’Ucraina sarebbe stata rispettata da una parte e dall’altra e che la Nato e l’Unione Europea non si sarebbero allargate fino all’Ucraina?
Luigi Malchiodi
Caro Malchiodi,
Uno dei maggiori problemi creati dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica fu la sorte delle armi nucleari dislocate al di là delle frontiere della Repubblica russa. Per la verità non esisteva soltanto il problema delle armi, presenti soprattutto nelle basi ex sovietiche della Repubblica ucraina. Esisteva anche quello dei tecnici e degli scienziati per cui occorreva trovare una occupazione che evitasse ad altri Paesi di approfittare delle loro esperienze e cognizioni. Per trovare una soluzione al problema fu negoziato a Budapest, nel dicembre 1994, un memorandum che venne firmato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Russia e Ucraina. Le prime tre potenze avrebbero rispettato l’integrità territoriale dell’Ucraina e si sarebbero astenute dall’esercitare indebite pressioni sul suo governo; mentre l’Ucraina, dal canto suo, sarebbe diventata uno Stato non nucleare e avrebbe aderito al Trattato di non proliferazione.
Il Paese che s’impegnò nella distruzione delle testate e ne pagò le spese fu soprattutto l’America della presidenza Clinton; e molti tecnici furono impiegati per distruggere ciò che avevano costruito. Vi sono state da allora ispezioni per verificare periodicamente il rispetto degli accordi. Recentemente, dopo lo scoppio della crisi, qualche rappresentante della nuova Ucraina ha persino sostenuto che il suo Paese dovrebbe rispondere alla politica russa con un ritorno al nucleare. Ma queste dichiarazioni, come altre, sono parse soprattutto destinate ad alzare la temperatura del confronto per provocare un maggiore intervento delle potenze occidentali.
Resta il problema della integrità territoriale ucraina, tutelata dal memorandum di Budapest. Ma vale anche il principio che ogni accordo è costruito sulla base degli equilibibri esistenti al momento della firma: un concetto per cui veniva spesso usata in passato la formula latina “rebus sic stantibus”. Nel caso della Crimea (regalata all’Ucraina nel 1954, ma abitata da una larga maggioranza russa e sede da sempre della maggiore base navale russa nei mari caldi), credo che il ritorno alla madrepatria sia un fatto compiuto, molto difficilmente modificabile. Nel caso dei territori russofoni dell’Ucraina orientale, invece, occorre trovare una soluzione che risponda alle comprensibili esigenze russe senza mettere in discussione gli impegni del memorandum di Budapest.