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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

IL VECCHIO MONTE FUNZIONAVA COSÌ


In un periodo di scandali bancari si rischia di perdere di vista la faccia pulita della finanza. La faccia pulita di professionisti che spesso cercano soltanto di rispettare le regole e di farle rispettare. Al Monte dei Paschi ci provò Giovanni Conti, responsabile del risk management negli anni delle spregiudicate iniziative dell’area finanza.
Conti contestò molte di quelle operazioni, ma non ebbe vita facile come testimonia una lettera che il 17 settembre 2009 (a due mesi dalla rinegoziazione del famigerato derivato Alexandria) indirizzò a Massimiliano Salvischiani, capo della segreteria del direttore finanziario e vice direttore generale Marco Morelli. Il banchiere romano condivideva le preoccupazioni di Conti e la sua uscita improvvisa dal Monte nel 2010 va evidentemente ricondotta alle divergenze con i vertici. Del resto alla fine del 2013 il gip ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dai pm per Morelli (in precedenza indagato per ostacolo all’attività di vigilanza nel filone relativo ad Antonveneta e al Fresh 2008), richiesta motivata dall’infondatezza della notizia di reato e dall’accertato comportamento corretto del banchiere. Conti (dal febbraio 2014 capo dell’area convalida) e Morelli sono stati anche testimoni importanti nel processo in rito immediato sulla ristrutturazione di Alexandria che vede imputati l’ex capo dell’area finanza Gianluca Baldassarri, l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex presidente Giuseppe Mussari. Oggi la lettera di Conti è dunque un documento prezioso per ricostruire il clima che si respirava al Monte prima che scoppiasse uno degli scandali più drammatici della finanza italiana.
«Caro Max (Massimiliano Salvischiani, ndr), sono tentato di mandare questa mail a Marco (Morelli, ndr), ma temo di scatenare maggior sconforto e insofferenza all’attuale situazione di quanta già non ce ne sia. Quindi, dopo una giornata a dir poco di m..., mando a te, amico e onestissimo professionista, queste mie riflessioni serali.
Come sai chi vuole operare su un mercato in size (quantitativi, ndr) grosse si serve dai principali player e non utilizza mai broker, player minori, player che non hanno desk sul segmento/prodotto (leggi Nomura sui Btp e sui financial). Tutto ciò è facilmente dimostrabile. Basta chiamare i grossi fondi italiani come Eurizon o Pioneer, piuttosto che Generali, e nessuno ci dirà che opera in quelle size o con certi nomi (...). A Pioneer, tanto per fare un nome, prima di autorizzare una linea di credito in dvp (delivery versus payment, una modalità di regolamento delle transazioni su strumenti finanziari che assicura la contestualità tra la consegna dei titoli e il pagamento del relativo controvalore, ndr) per un qualsiasi nome si fa un’analisi seria e approfondita, non solo sulle condizioni finanziarie della controparte, ma anche e soprattutto sul suo ruolo e posizionamento nel mercato di riferimento (...). Da noi la Finanza parte dall’errato presupposto che non abbiamo la cultura necessaria a controbattere in modo articolato e determinato alle loro «banali argomentazioni», fondate sul fatto, magari, che certe size postulano obbligatoriamente certi prezzi. Il punto è: come è possibile autorizzare certe size con certe controparti, in unica soluzione sul mercato Financial LT2? Come si può autorizzare che vengano lasciati ordini per centinaia di milioni sul Btp a controparti non primarie su questo mercato, come Nomura, quando reiteratamente è dimostrato che tale comportamento provoca spostamenti di mercato che danneggiano profondamente gli interessi della Banca? A quanto ammonta il danno subito da Mps da operazioni come Alexandria (...), i milioni di corporate bond negoziati fuori mercato ecc. ecc. Che danno subisce la Banca?
L’assenza di una contabilizzazione a mtm (mark to market, ndr) non elimina gli effetti di tale pessima gestione, li trasla nel tempo, comportando l’ulteriore danno che tali effetti, non palesi nell’immediato, si cumulano l’uno su l’altro. È vero o no che cerchiamo dovunque fonti di reddito, anche di pochi milioni, per sostenere il conto economico? È vero o no che non possiamo permetterci di consumare capitale? Ed è coerente rispondere a queste esigenze già tra loro contrastanti ingolfando il BB (banking book, cioè il portafoglio bancario, ndr) di rischio, assunto con siffatti metodi di negoziazione?
Il patrimonio soffre e il conto economico non cresce come potrebbe (in realtà perde, ma oggi non si vede). Se valesse il regime del mtm, infatti, ci saremmo subito accorti di acquisti fuori mercato, poiché il booking stesso avrebbe evidenziato lo scostamento del valore del deal dal mercato, in termini di perdita secca. In tale regime, sarabbe evidente che l’utile è esclusiva condizione di fortuna: guadagni solo se il mercato sale più di quanto hai lasciato sul mercato, cosa che sta avvenendo negli ultimi mesi. E se il mercato si gira che facciamo di questa vagonata di roba?
Ma qualcuno si è accorto che la Finanza di gruppo rifugge il trading come il diavolo l’acqua santa? È come se un falegname fosse allergico al legno o un fabbro al ferro. Il carry trade, in linea di massima, è appannaggio del top management (dg, cda, ecc.) non certo del proprietary trading. Se quest’ultimo rifugge il trading, trincerandosi dietro la goffa pretesa di non voler creare volatilità di conto economico, c’è qualcosa che non quadra. Istituzionalmente il proprietary trading deve proteggere dalla volatilità e su questa far crescere il conto economico. Ciò che sta avvenendo è un nonsenso, anche organizzativo. Non serve infatti, un intero comparto finanza per questo tipo di carry trade, basta una persona di media intelligenza cui dare un mandato rigoroso a negoziare specifiche size di specifici asset con specifiche controparti. Niente più che uno stipendio, anche basso (...). Se in tempi di vacche grasse questo stillicidio di «regali al mercato» poteva lasciare indifferenti (dal punto di vista bilancistico) oggi credo che sia necessario porvi un definitivo freno, nell’urgente interesse della Banca, anche reputazionale.
Ciao Giovanni».

Luca Gualtieri, MilanoFinanza 30/5/2014