Matteo Meneghello, Il Sole 24 Ore 30/5/2014, 30 maggio 2014
IN CAMPO UNA CORDATA ITALO-INDIANA
MILANO.
La squadra pronta per il futuro dell’Ilva è la stessa scesa in campo, un anno fa per rilevare Acciai Speciali Terni, messa in vendita da Outokumpu per evitare una posizione dominante nel mercato dell’inox. La cordata fallì nell’obiettivo (Ast fu ri-acquistata da ThyssenKrupp, che l’aveva in precedenza ceduta ai finlandesi), ma ora ritorna in campo anche se con obiettivi e presupposti completamente diversi. Nonostante le evidenti differenze (nel caso di Ast si trattava di un’acquisizione tout-court), lo schema è in parte identico: ArcelorMittal dovrebbe assumere una posizione preponderante nella eventuale cordata (fermo restando il ruolo dei Riva nella ricapitalizzazione), mentre Marcegaglia e Arvedi (che per dimensione e capacità finanziaria non possono certo ambire ad un ruolo di peso nel ridisegno dell’assetto proprietario di Taranto) si ritaglieranno un ruolo da pivot, con l’obiettivo di garantire l’italianità dell’operazione (a questo proposito lo stesso viceministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti aveva lanciato all’assemblea di Federacciai un appello perché le industrie italiane «facciano la loro parte» in questo percorso).
L’interesse di ArcelorMittal per Ilva si è palesato all’inizio dell’anno, dopo una serie di contatti con la famiglia Riva registrati già nel 2013, prima dell’avvio dell’era Bondi. Il gruppo franco-lussemburghese-indiano, che si è confermato anche nel 2013 al vertice del ranking mondiale dei produttori (con 96,1 milioni di tonnellate) è tra i pochi al mondo in grado di sostenere il peso di un’operazione-monstre come quella che si prospetta. Nonostante la palese situazione di overcapacity del settore in Europa – sovracapacità che riguarda anche ArcelorMittal, che ha chiuso l’altoforno di Florange, in Francia e intende chiudere quello di Liegi in Belgio – il colosso franco-lussemburghese-indiano potrebbe con questa mossa razionalizzare il proprio parco produttivo europeo, sfruttando in parallelo le potenzialità logistiche di Ilva. Secondo alcune fonti industriali ArcelorMittal potrebbe essere invece interessata soprattutto a «togliere di mezzo» un concorrente, ridimensionandone l’attività e puntando su alcuni asset d’eccellenza specifici, come per esempio gli impianti di Novi Ligure relativi alla produzione di laminati zincati per il settore automotive. Si tratta di asset per i quali negli ultimi anni sono state investite risorse cospicue, un segmento che oggi ArcelorMittal non presidia. A prescindere dalle scelte strategiche del colosso euro-asiatico, è indubbio che il mercato interno dei piani viaggi oggi molto al di sotto della capacità produttiva dei principali produttori nazionali (vale a dire Ilva e Arvedi). Proprio per questo un eventuale coinvolgimento di Arvedi (il presidente Giovanni Arvedi ha confermato nei giorni scorsi al Sole 24 ore di avere «dato al Governo la disponibilità per una soluzione» della vicenda Ilva) confermerebbe, secondo alcuni addetti ai lavori, la volontà di «pilotare» una razionalizzazione del mercato dei piani. Al tavolo Ilva, come detto, c’è anche Marcegaglia, che già ad aprile aveva rotto gli indugi dichiarando pubblicamente al Sole 24 Ore la propria disponibilità «a fare la propria parte». Un interesse dettato anche dalla necessità di «presidiare» uno dei maggiori fornitori (Ilva vende ai mantovani 1,5 milioni di tonnellate su un fabbisogno di 4,5) del gruppo, evitando che finisca in mani sbagliate o che, peggio, smarrisca il suo ruolo di «capofila» che ancora recita in gran parte della filiera italiana dell’acciaio.
Matteo Meneghello, Il Sole 24 Ore 30/5/2014