Nello Trocchia, Il Fatto Quotidiano 30/5/2014, 30 maggio 2014
IL DON E ’O CHIATTONE: È “GOMORRA” MA SEMBRA TUTTO VERO
Il film della camorra, come impresa criminale, è appena iniziato. Antonio Iovine da San Cipriano d’Aversa, provincia di Caserta, ha iniziato a scriverlo dal 13 maggio scorso, quando il capo dei Casalesi ha iniziato a collaborare con la giustizia. Le prime parole sono nei verbali di interrogatorio che il pm Antonello Ardituro ha depositato nel processo che vede imputato per concorso esterno in associazione camorristica Enrico Fabozzi, consigliere regionale campano. E sono parole che raccontano il groviglio tra ammazzamenti, politica e impresa, che ha reso la camorra, una spa del crimine. “Ogni mese il clan aveva introiti per circa 350.000 euro, al netto degli introiti personali che i capi riuscivano ad avere. C’erano soldi per tutti in un sistema che era completamente corrotto”. Gli omissis svelano, come ovvio, la rete di complicità, le trame ancora da svelare. Mentre Iovine parla, in tv si guarda Gomorra, la serie che incanta il pubblico e racconta un’altra epopea criminale. L’impasto tra frammenti di realtà e romanzo. Così le case diventano sfarzose, i boss diventano vanesi e un territorio ostaggio. Gomorra, la fiction, ideata dallo scrittore Roberto Saviano, sta spopolando raccogliendo critiche ed elogi, ma i protagonisti della serie di successo, in onda su Sky, richiamano inevitabilmente i ‘malacarne’ che hanno insanguinato l’area a nord di Napoli: dal loro fortino , con la gestione del business della droga, hanno costruito un impero. E allora eccoli in fila le accoppiate come fosse un gioco di specchi, ma senza dimenticare che fuori dallo schermo i boss, con le loro miserie, hanno vissuto davvero.
Criminali, combattuti e, spesso, ‘vinti’ da forze dell’ordine, magistratura e antimafia sociale che a Scampia, insieme, hanno reagito e rialzato la testa raccontando, oggi, una storia di resistenza. Nella serie spicca il boss che ha edificato l’impero, Pietro Savastano. Nella vita di tutti i giorni il rimando è quasi scontato a Paolo Di Lauro, ribattezzato ciruzzo ‘o milionario, capo dell’omonimo clan. Nella serie è capo ed esecutore; in carcere con un telefono, rimediato da un secondino corrotto, detta la linea al clan, ma finisce al 41 bis, la detenzione senza sconti. La corrispondenza tra finzione e realtà è una forzatura, perché i boss che rievocano sono, come ovvio, del tutto diversi per storia e ritratto. Paolo Di Lauro, oggi, è in carcere, ruolo e profilo ricostruito dalle testimonianze dei pentiti, ma lui al telefono non parlava. Faccia e voce, per anni, ignote. Uomo riservato, protetto e accorto. Partito da una piccola industria tessile, diventato milionario alimentando, con vagonate di denaro, ogni settore di business. Viene catturato nel 2005 proprio nel suo feudo. La fiction espunge dalla realtà dei tratti, dei semi e poi fiorisce altro e racconta l’impero criminale oltre i quartieri-stato, oltre le faide e i morti ammazzati. È lo stesso Saviano a spiegarlo: “Raccontare i meccanismi oltre il livello zero, far vedere dove il ghetto smette di essere tale e pompa danaro nell’economia viva”.
Ma torniamo ai rimandi, alla corrispondenza. Nella fiction c’è il pargolo di Don Salvatore: Genny. Nei quartieri lo avrebbero ribattezzato ‘o chiattone, per la sua corporatura, che poi, nella serie, subisce una metamorfosi fisica e non solo quasi a simboleggiare il nuovo corso di capo in assenza del padre. Nella vita ricorda Cosimo Di Lauro, il figlio di Paolo, ‘Cosimino’; eredita l’impero, prende il comando dell’organizzazione quando il padre diventa latitante, prima di finire, lui stesso, in manette, nel gennaio 2005. Gomorra è stata venduta in 50 paesi, un successo planetario. La saga dei Savastano ricorda quella dei Di Lauro e la loro stagione di crimine e palate di soldi. Stagione ancora ‘in onda’ nella realtà visto che un Di Lauro è latitante, si tratta di Marco, quarto figlio di ciruzzo ’o milionario. Nella serie spicca anche Salvatore Conte, di stanza in Spagna. Evoca la disgregazione del clan. Nella realtà ricorda Raffaele Amato che si rifugia all’estero; nella faida, esplosa nel 2004, contro i Di Lauro, guidava i cosiddetti ‘scissionisti’ o ‘spagnoli’. Anche Amato è finito in cella, arrestato proprio in Spagna nel 2009.
Nello Trocchia, Il Fatto Quotidiano 30/5/2014