Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano 30/5/2014, 30 maggio 2014
SQUINZI, CAMUSSO E GLI ALTRI, COME PROFUGHI
Disperati. Profughi aggrappati a una zattera di apparati sindacali condannati all’irrilevanza. E quindi compagni, padroni e operai uniti nella lotta per la sopravvivenza agli sberleffi di Matteo Renzi. È stato il premier, appena insediato, a fischiare la fine della ricreazione. Ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa, ha decretato senza giri di parole la fine della concertazione: «Ascoltiamo Confindustria e Cgil, Cisl e Uil ma decidiamo noi. Avremo i sindacati contro? Ce ne faremo una ragione». Ci avevano provato in tanti, da Silvio Berlusconi a Massimo D’Alema, fino allo stesso Mario Monti. Ma giustamente le vestali del rituale sindacale non ci avevano creduto, sapendo di avere a che fare con uomini di mondo. Stavolta la botta è arrivata, tanto che l’astuto Raffaele Bonanni della Cisl ha subito tentato, via Twitter, di schivare il colpo: «Non faccia l’errore di fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono sindacati e sindacati».
Ma Renzi è proprio un ragazzo maleducato e non cerca, come B., sindacati servili. È convinto che Confindustria e sindacati (tutti) siano tigri di carta, poco rappresentative, anchilosate dal tran tran di 15-20 mila burocrati più attenti al proprio destino personale che a quello di lavoratori e imprese. E diserta l’assemblea di Confindustria come venti giorni fa ha dato buca al congresso di Susanna Camusso. Il segretario della Cgil reagisce con l’invettiva: «L’idea di un’autosufficienza del governo determina una torsione democratica verso la governabilità a scapito della partecipazione». Cose che la Cgil diceva di Bettino Craxi quando Camusso era craxiana: ha memorizzato e riciclato. Tanta è la rabbia che lo stesso Bonanni dà ragione alla rivale di sempre: «Davvero si pensa che la democrazia in una società moderna è decidere da soli e premere un bottone? Così la pensano nei paesi populisti e nazionalisti, dove si crede che c’è un rapporto diretto tra popolo e Conducator». Non solo Craxi, pure Ceausescu.
Solo che il 25 maggio gli iscritti a Cgil, Cisl e Uil corrono in massa a votare per il Conducator torcitore della democrazia. E la disperazione cresce. Camusso dissimula la disfatta dimenticando la torsione e inneggiando al risultato del Pd, «per molti aspetti storico, che rimette al centro un’idea positiva di Europa e di buona politica». Poi fa una giravolta e diagnostica che «gli elettori hanno indicato al premier una strada condivisa dai sindacati e lo hanno reso più forte per andare avanti in questa direzione». Parole in libertà, per nascondere una realtà amara: la concertazione non c’è più, addio tavoli a Palazzo Chigi con 32 sigle che litigano ogni volta per la disposizione dei posti. E intanto c’è Renzi che parla con l’odiato Maurizio Landini della Fiom, «che almeno rappresenta lavoratori veri». Ma con loro mai.
Così eccoli qui, abbracciati a Squinzi, l’unico che li capisce (anche se è pure l’unico che un mestiere ce l’ha, miliardario produttore del Vinavil). Giurano amicizia al capo dei padroni, a colpi di «relazione adatta ad affrontare i problemi odierni» (Bonanni), di «sembra di lavorare per gli stessi obiettivi» (Luigi Angeletti della Uil) e di «siamo sicuramente disponibili» (Camusso). Disponibili a che? Forse ad aprire un tavolo super-interconfederale per studiare il modo di sopravvivere.
Giorgio Meletti