Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 30/5/2014, 30 maggio 2014
MORETTI-PREMIER: È PATTO DEI BINARI
Il re è morto, viva il re”. Come nella monarchia francese la scomparsa del sovrano non metteva in discussione la continuità dinastica, così alle Ferrovie, uscito di scena Mauro Moretti con destinazione Finmeccanica, al suo posto viene incoronato uno della stessa stirpe, Michele Elia. Finisce il Moretti 1 e comincia il Moretti bis. Elia deve tutto a Moretti, a cominciare dal ripescaggio da una vita nelle retrovie Fs durata oltre un trentennio fino all’elevazione agli altari di una delle più importanti aziende del gruppo, Rfi-Rete ferroviaria, la società dei binari che molti vorrebbero separata dalla casa madre per garantire la concorrenza, ma che probabilmente resterà intonsa al suo posto. Era il settembre 2006, lo stesso mese e lo stesso anno dell’inizio dell’era morettiana, e da quel momento Elia è diventato il silente clone del capo in vista della remota prospettiva della successione. Che Moretti, in verità, avrebbe voluto evitare, ma che si è bruscamente manifestata con il nuovo governo. A schiodare Moretti dal trono ci ha pensato Matteo Renzi che su consiglio del presidente Napolitano voleva uno con la faccia feroce da inviare di guardia alla sbandante Finmeccanica e nello stesso tempo doveva accontentare il ministro dei Trasporti, il ciellino Maurizio Lupi, che Moretti ce l’aveva sullo stomaco. Moretti ha detto obbedisco, ma solo a metà. Per togliere l’incomodo ha preteso di poter nominare il successore. È stato accontentato. Nelle segrete stanze tra Moretti e Renzi è stato stipulato un “patto dei binari”, un’intesa di sapore feudale la cui esistenza è stata autorevolmente svelata da Massimo Mucchetti, ex giornalista e presidente Pd della commissione Industria del Senato. Che ci siano volute comunque ben cinque sedute del consiglio Fs per arrivare a bomba è la conseguenza del fatto che quell’accordo tagliava fuori un terzo incomodo: il ministro Lupi. Che ha tenuto duro finché ha potuto caldeggiando il nome di Pietro Ciucci, l’amministratore Anas noto per l’epopea della Salerno-Reggio Calabria e per quel capo lavoro del Ponte sullo Stretto che anche da morto ci costa la bellezza di 800 milioni di euro.
Lupi ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte alla travolgente avanzata renziana nelle urne di domenica. A quel punto ha capito che non poteva durare oltre pure la difesa del presidente Fs, quel Lamberto Cardia tanto defilato quanto affezionato alle poltrone. Al posto di Cardia è stato scelto un economista, Marcello Messori, uno della nidiata dalemiana ai tempi di Palazzo Chigi che ebbe però il fegato di dire addio alla compagnia sbattendo la porta per le troppe cose che non condivideva. Alle Fs il ruolo del presidente è però limitato, chi guida le danze è l’amministratore. In omaggio alla legge (e alla moda imperante) è stata spruzzata anche una notarosasulnuovoconsiglioferroviarioportatoda5a9dicui4donne. Dal brusco licenziamento voluto un paio di mesi fa dallo stesso Moretti è stata salvata Daniela Carosio, dicono per volere del presidente uscente Cardia e per proprietà transitiva del ministro Lupi. Carosio è una vita che va e viene dalle Ferrovie: l’ultimo incarico era quello di direttrice delle relazioni esterne, ma già nella prima metà degli anni ’90 era nel team di Efeso, sfavillante società di comunicazione ferroviaria con sede in piazza di Spagna a Roma inzeppata di rampolli di gente importante e parenti di politici come Cesare Previti, gratificati con stipendi ultralusso. L’altra signora di rango è Simonetta Giordani, ex sottosegretaria alla Cultura del governo del Letta, già impegnata nell’associazione Civita guidata dal Letta senior e lobbista in Parlamento per le Autostrade dei Benetton che sono pure soci Fs in Grandi Stazioni. Il trionfo del continuismo ferroviario difficilmente piacerà ai tartassati dei binari. Il conclamato risanamento sbandierato dall’amministratore uscente è figlio di tre padri. Primo:il cancan sulle Freccerosse tra Roma e Milano che piacciono tanto a giornali e vip. Secondo: lo straordinario pompaggio di risorse pubbliche nelle casse Fs così come documentato da uno studio minuzioso del professor Ugo Arrigo. Il terzo padre è il più triste: gli 8 mila treni normali che viaggiano sui 15 mila chilometri di binari non ad alta velocità sono stati retrocessi in serie B e milioni di pendolari trattati come vitelli al macello.
Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 30/5/2014