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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

CANNAVACCIUOLO: CHEF GURU? FACCIAMO SOLO DA MANGIARE

[Intervista] –

Antonino Cannavacciuolo si erge in tutta la pavarottesca mole. Regna incontrastato sulla sua cucina a due stelle Michelin, Villa Crespi di Orta San Giulio: qui l’orco buono è seguito con una sorta di venerazione. Nato a Vico Equense, provincia di Napoli, nel 1975, segno dell’Ariete, ha da poco compiuto 39 anni. In una puntata di Cucine da incubo, il programma di Fox Life, disse perentorio una storica frase: «Noi facciamo da mangiare».
Ma come, chef: questa esplosione del cibo, in tv e dovunque, e lei dice «facciamo da mangiare»?
«Cucino da quando avevo 13 anni, mio padre era un grande cuoco e maestro, grandissimo. In quella puntata c’era un cuoco che continuamente scriveva nel menù: “Ricetta segreta dello chef”: ma che segreto, ma di che parli? Stiamo vivendo la crisi, è giusto ricondurre la cucina alle sue proporzioni: far da mangiare».
Nonostante la popolarità che le ha dato la tv, lei resta soprattutto uno chef: come concilia?
«Giro il programma nei mesi invernali, quando chiudo il ristorante».
Come l’hanno scelta?
«Dopo avermi visto all’opera, pure nei congressi, nei convegni, quando mi trovavo a spiegare il nostro lavoro. Un lavoro strano, difficile. Farlo e farlo bene, vuol dire girargli attorno, studiarlo, capirlo in tutti i suoi momenti. Un viaggio continuo verso una meta che appare e scompare proprio quando ti pare di averla raggiunta. Un’oasi, che quando arrivi, non c’è».
Difficoltà?
«Tante, anche psicologiche. Una sera fai una grande cena, e sei il migliore, tutti ti esaltano. Il giorno dopo sbagli due piatti e non sei più nessuno. Dal paradiso all’inferno in poche ore. E poi c’è un’altra sensazione: più cresci, più vai avanti, più ti sembra di andare indietro. Perché non puoi vivere nell’idea di fare scoperte sempre. C’è un momento in cui si deve dire: largo ai giovani. Io ho 39 anni e lavoro in cucina dai 13. Aspetto i 50, e poi, addìos, vado in barca e non mi vedete più».
I giovani non faticano ad affermarsi?
«Certo. Infatti io raccomando: costruitevi un curriculum inattaccabile. Cercate ristoranti di qualità, luoghi di eccellenza. Entrerete come ultima ruota del carro, guadagnando 800 euro al mese, e con orari terribili, come sono quelli della ristorazione. In pizzeria, magari di euro ne prendete 1800. E’ ovvio che a 20 anni un ragazzo voglia soldi in tasca, ma è lì che si fa la differenza. Quando avrete 35 anni e sarete da 15 in pizzeria, vi sentirete stanchi, non avrete imparato niente e nessuno vi vorrà più. Ma se avrete investito su voi stessi, e sarete diventati bravi, di euro ne potrete guadagnare 5 mila».
Come sceglie leCucine da incubo?
«Ci sono dei gruppi di cercatori che girano l’Italia, dopo le segnalazioni: serve qualcosa che si possa narrare bene, vicende emblematiche».
«Addìos» è diventato il suo slogan. Che succede quando lei se ne va dai ristoranti in crisi?
«Dipende. Io sono come mi si vede, non recito, per una settimana seguo tutto. Dalla pulizia alla preparazione dei piatti alla raccomandazione dell’umiltà. Ma non ho la bacchetta magica. Se in sei giorni avessi la forza di cambiare un ristorante, farei miracoli. Dò i consigli di uno che ha 24 anni di esperienza: se prendessero per buono il 50% di quello che dico, sarei già contento. Dopo una settimana, sono distrutto. E insisto sull’armonia, fondamentale in cucina, in sala: con se stessi, alla fine. Cerco di riportare lo spirito, e talvolta gli ingredienti, ai primi giorni, ai giorni dell’entusiasmo. Qualcuno mi dà retta e va avanti, qualcuno chiude, e fa bene, magari lo suggerisco io stesso».
Lei quanto vedeva suo padre, la sua ispirazione?
«Pochissimo. Anch’io vedo poco i miei due figli, ma cerco di tornare ogni tanto a casa da loro. Mia moglie Cinzia lavora con me: ero venuto al Nord per imparare la cucina del luogo, qui, sul lago d’Orta, l’ho incontrata e non ci siamo più lasciati. Da 15 anni sono a Villa Crespi, i primi riconoscimenti importanti li ho ottenuti nel 2003, a 28».
Come ha fatto?
«Bravura e fortuna insieme».
Quando la terza stella Michelin?
«Sono i clienti, la mia terza stella».

Alessandra Comazzi, La Stampa 30/5/2014