Federico Varese, La Stampa 30/5/2014, 30 maggio 2014
PER LO STATO RISPARMI E DILEMMI
Alcuni fenomeni epocali avvengono in maniera improvvisa, come un fiume tranquillo che si trasforma in una cascata. E’ successo con l’introduzione dei matrimoni gay e con il fumo nei luoghi pubblici. Questo punto di non ritorno (quello che gli inglesi chiamano tipping point) potrebbe essere raggiunto molto presto con la cannabis. E’ di ieri la notizia che in Italia i condannati in via definitiva per piccolo spaccio potranno ottenere il ricalcolo della pena, dopo l’abolizione della legge «Fini-Giovanardi». Questa misura avrà un effetto sulla situazione carceraria e forse sullo spaccio in Italia. Ma per capire quello che avviene nel nostro paese bisogna alzare lo sguardo oltre i confini nazionali.
Secondo stime abbastanza attendibili, sono 9000 le persone interessate al ricalcolo della pena (altre fonti parlano di 20.000). Se questa cifra è corretta, l’amministrazione carceraria risparmierà un milione e 125 mila euro al giorno. Inoltre, poliziotti, giudici e avvocati potranno dedicare il loro tempo ad altre indagini e processi. Come è noto, chi va in carcere entra in contatto con la grossa criminalità. Rilasciare i piccoli spacciatori avrebbe dunque l’effetto paradossale di ridurre il numero di reati, anche se è molto probabile che queste persone, una volta rilasciate, torneranno all’occupazione precedente. Nondimeno il mercato della cannabis è già amplissimo in Italia (546,6 milioni di euro l’anno), con il 20% della popolazione che ammette di averne fatto uso. La Fini-Giovanardi non è servita a ridurre lo spaccio. Più che l’offerta, è la domanda che fa girare questo mercato.
L’Italia si sta adeguando ad una trasformazione globale. La Francia e la Repubblica Ceca hanno legalizzato l’uso medico della cannabis nel 2013, mentre la Croazia ha ulteriormente decriminalizzato il consumo. Nel frattempo, in quattro cantoni svizzeri adesso è possibile coltivare piccole quantità di erba. L’origine di questo movimento è la decisione del Colorado e del Washington State di legalizzare il consumo. Nei prossimi due anni, saranno indetti referendum in altri sei Stati, tra cui la California. Negli Usa sembra che il tipping point sia stato raggiunto: vi è oggi una maggioranza di cittadini in favore della legalizzazione, secondo un sondaggio del Pew Research Center (marzo 2013) e le iniziative per introdurre una legge federale non proibizionista si sprecano. Gli americani sono giunti alla conclusione che la war on drugs è stata un fallimento e si apprestano ad esplorare soluzioni alternative.
E’ bene però sfatare alcuni miti. Gli anti-proibizionisti entusiasti credono che la legalizzazione assesterà un colpo mortale al crimine organizzato. Tali sognatori dimenticano che il mercato dell’eroina e della cocaina in Italia è più del triplo di quello della marijuana. A queste droghe pesanti vanno aggiunte le droghe sintetiche come ecstasy e anfetamine. E poi le nostre mafie sono ben radicate nell’economia legale, come l’edilizia, i rifiuti e l’usura. Una volta venuto meno un mercato, non faranno fatica a trovarne un altro da sfruttare. E neppure va dimenticato che le droghe leggere fanno male alla salute di chi ha meno di diciotto anni e di chi ne fa un uso smodato. Una campagna serrata di sensibilizzazione dovrebbe andare di pari passo all’abbandono di sanzioni penali per consumatori e piccoli spacciatori.
Infine, la decisione della consulta offre un’opportunità unica alla classe politica italiana: affrontare finalmente l’emergenza carceraria. Sempre più spesso paesi europei come Germania, Inghilterra e Spagna rifiutano di estradare in Italia individui condannati a pene gravissime perché il sovraffollamento delle carceri è incompatibile con i diritti umani (ne ha scritto Zagrebelsky su La Stampa). Liberare i piccoli spacciatori è una goccia che si perde in un fiume tranquillo e incivile.
Federico Varese, La Stampa 30/5/2014