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 2014  maggio 30 Venerdì calendario

MOSCA E KIEV I DESTINI INCROCIATI


A Donetsk i morti stanno probabilmente ascendendo oltre il centinaio, mentre il neopresidente ucraino Petro Poroshenko, eletto appena cinque giorni fa, promette tregua un momento e minaccia guerra il momento dopo. Anzi, mentre parla di tregua, la guerra l’ha già iniziata e la prosegue e persegue seminando stragi e vittime a destra e a manca. Come è potuto accadere tutto questo, dinanzi gli occhi miopi di un’Europa che si è appena autocelebrata nelle urne? Dove, insomma, si nasconde la mano assassina del burattinaio che forse non è affatto lontano dal confine ucraino?
Certo, nulla ci consente di accusare direttamente Putin; il quale, al solito, invita tutti alla calma e alla ragione. Eppure il fiuto ci fa sentire un certo odor di bruciato dietro le mura del Cremlino, non del tutto impermeabili come in genere si crede. Seppure indirettamente ci sia consentito, dunque, di dubitare delle mani pulite dei russi che, con gli ucraini, hanno sempre avuto qualcosa da fare, da dirimere, da suddividere sia nel male che nel bene. Diamo un po’ di tempo al tempo. Forse riusciremo a scoprire, anche se non subito, la sagoma di chi in realtà si celava dietro le quinte. Vorrei precisare: chi si celava con il volto impenetrabile e le mani dietro la schiena.
Quanto al protagonista in prima persona sulla scena, il quasi cinquantenne Poroshenko, di lui sappiamo molto poco, per adesso quasi niente. Si sa che è un oligarca produttore di un cioccolato che gli eventi indurrebbero a definire banalmente amaro. Uno dei tanti «magnati» postsovietici che con i semi di cacao ha accumulato un patrimonio d’un miliardo e mezzo di dollari. Qui, possiamo consentirci la domanda: vorrà forse, il Poroshenko, utilizzare tutti quei soldi come uno scudo inespugnabile per mantenersi ai vertici dell’odierna caotica scena politica ucraina?
Già, il tumultuante e sempre più indecifrabile scenario ucraino. Sempre diviso, sempre incompiuto, che non si sa mai bene a chi voglia appartenere dato che da sempre si è rivelato incline ad appartenere più agli altri che a se stesso. Starei anzi per dire un po’ approssimativamente che il caso ucraino, nella storia non solo russa, ma europea, resta comunque più unico che raro. L’Ucraina, in effetti, è una delle più misteriose, più fuggevoli e insieme più imprevedibili terre che l’Europa si sia data nella sua secolare evoluzione. La stessa Russia, per così dire, non sarebbe forse esistita, se l’Ucraina granducale non avesse trapiantato i suo semi culturali, religiosi, statuali, dalla civilissima Kiev nella semibarbara Moscovia d’allora (svertebrata dall’odiosa invasione mongola).
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare un dato storico essenziale. Questa misteriosa ma generosa Ucrania, grande regina senza corona dell’universo slavo, non si è mai completamente prosciugata in una solitudine sterile e autodistruttiva. E’ stata, certo, una reggia un po’ anonima, quasi acefala, ma pur sempre reggia e, spesso, elettrice e ispiratrice di grandi personalità regali nei Paesi vicini. Pur divisa nei suoi secoli bui tra russi e nomadi asiatici, poi condivisa a partire dal secolo sedicesimo tra russi e polacchi, poi ancora nel diciassettesimo tra polacchi e baltici e tedeschi, è stata (insieme con la Lituania e i Paesi baltici) al centro di un cospicuo Commonwealth nordorientale. Un Est ricco, se vogliamo una Mitteleuropa primigenia, arcaica, come neppure riusciamo a pensarla commisurandola con i metri insufficienti dell’immaginazione attuale. In altre parole: oggi dovremmo rappresentarci l’Ucraina antica come un fulcro transnazionale, culla di promiscuità tutt’altro che negative. Una generatrice un po’ appartata di civiltà composite, di innesti multietnici, di matrimoni misti e bilingui, di prosperità e traffici forse non meno degni, anche se meno appariscenti nei testi scolastici, di quelli imperniati gloriosamente sulla Francia, sulla Germania e in parte l’Italia rinascimentale.
Ma il culmine del suo primato storico, culturale, direi quasi leggendario, doveva realizzarsi appieno a Oriente. Va ripetuto, mai ignorato, che è dal suo seme che doveva svilupparsi ed estendersi a grandiose dimensioni di civiltà e d’imperio mondiale la Russia. Se, per ipotesi, fosse unanimemente possibile porre all’Ucraina una domanda chiave, domandandole: «Chi sei?», essa con piena facoltà di replica potrebbe e anzi dovrebbe rispondere: «Mi basta far sapere, anche a coloro che ignorano la storia e negano l’immortalità, che sono l’unica e vera madre della Russia immortale».

Enzo Bettiza, La Stampa 30/5/2014