Nicola Lombardozzi, la Repubblica 30/5/2014, 30 maggio 2014
PUTIN BATTEZZA L’UNIONE EUROASIATICA UN NUOVO “IMPERO” CONTRO BRUXELLES
DONETSK
Il sapore dell’Unione Sovietica è dappertutto, nei luoghi, nei personaggi, nei discorsi. Per molti c’è uno struggente effetto nostalgia. Per altri, un senso di sollievo, come di scampato pericolo. In diretta televisiva da Astana, moderna capitale del lontano Kazakhstan, i cittadini di Donetsk assediata hanno potuto assistere alla nascita della Unione Euroasiatica, ufficializzata solennemente dai presidenti di Russia, Bielorussia e appunto Kazakhstan. L’Ucraina non c’è, nonostante fosse inserita nel programma fino alla metà del novembre scorso. La Rivoluzione della Majdan, la fuga del Presidente Yanukovich, la degenerazione del conflitto tra minoranze russe ed esercito regolare, hanno spazzato via il sogno di molti fautori dell’accordo.
Ma ieri ad Astana Vladimir Putin parlava ugualmente di «giornata storica» pregustando gli imminenti arrivi dell’Armenia (già a fine giugno) e del Kirghizistan (entro l’autunno prossimo). L’Unione Euroasiatica è di fatto una risposta all’Unione Europea. Un’intesa di cooperazione economica e di incentivazioni reciproche agli investimenti che viaggia su grandi numeri e potenzialità se si pensa soprattutto alle risorse energetiche immense di cui i membri possono disporre. Un piccolo colosso che interessa già da ieri 170 milioni di persone con un Pil complessivo di quasi 3 trilioni di dollari.
Soddisfatto, forse perfino un tantino commosso, Vladimir Putin continua a smentire le «malignità occidentali» riguardo il suo sogno di ricostituire l’Impero sovietico. Ma certo riusciva difficile non pensarci vedendo le scenografie fantaimperialiste del palazzo dell’Indipendenza di Astana e ascoltando il lungo biascicato intervento di Nursultan Nazarbaev, 73 anni portati male a causa di un brutto tumore. Buon amico anche dell’Italia che ha a che fare con il petrolio, Nazarbaev è il padrone del Kazakhstan sin dai tempi dell’Unione Sovietica quando era già primo segretario del Partito comunista locale. Linguaggio e stile sono rimasti identici anche in questi lunghi anni di potere assoluto e di scambi commerciali con il resto del mondo. Così come è in perfetto stile sovietico il terzo partecipante al tavolo di Astana, Aleksandr Lukashenko, presidente a vita della Bielorussia che si vanta di essere stato nel 1991, l’unico membro del Pc locale a votare contro la dissoluzione dell’Urss. Definito da Condoleezza Rice «l’ultimo dittatore d’Europa » per la ossessiva attività antidissenso della sua polizia segreta e per lo sfruttamento da servi della gleba dei lavoratori, Lukashenko è anche l’unico capo di Stato del continente a essere colpito personalmente da sanzioni occidentali. Ieri sorrideva soddisfatto del suo rinnovato prestigio internazionale e mandava perfino un segnale tra il minaccioso e il bonario al governo ucraino: «Prima o poi capiranno che è questa la parte giusta dove stare».
Più sobrio Putin che ha evitato ogni accenno all’alleato perduto e ha preferito concentrarsi sul futuro della sua creatura. Molti maligni dicono che fosse un suo preciso obiettivo sin dall’inizio della sua carriera politica: rimettere insieme il più possibile delle repubbliche che un tempo formavano l’Impero. Comunque sia il progetto parte monco rispetto alle aspettative iniziali. Al di là della dolorosa perdita dell’Ucraina, Putin ha dovuto rinunciare via via ad altri pilastri della perduta Urss come il Tagikistan, l’Uzbekistan e l’Azerbajan. Regimi non meno presentabili sul piano del rispetto dei diritti umani e della repressione sanguinaria di ogni contestazione ma che, avendo scelto di vendere petrolio e gas all’Occidente, sono spesso graziati o prudentemente trascurati dai media internazionali.
E perfino mettere insieme questa specie di Unione Sovietica a tre, non è stato facilissimo. Né Nazarbaev né Lukashenko hanno letto come un buon segno la annessione della Crimea. E hanno chiesto a lungo garanzie sulla loro integrità territoriale. Il Kazakhstan in particolare, con una grande fetta del paese abitata da russi, teme di dover sottostare a richieste e pressioni da parte di Mosca. Ma nel pieno della crisi ucraina, Putin aveva fretta di chiudere con un risultato. Ha concesso, blandito, minacciato e ce l’ha fatta: una firma solenne e la “anti Ue” è pronta ad entrare in azione.
Nicola Lombardozzi, la Repubblica 30/5/2014