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 2014  maggio 29 Giovedì calendario

“OMICIDI, AFFARI E SOLDI AI POLITICI COSÌ SONO DIVENTATO IL RE DI GOMORRA”


SANTA MARIA CAPUA VETERE.
«Ho cominciato a uccidere negli anni Ottanta. È iniziato tutto con l’aggressione alla famiglia Nuvoletta, da parte di Antonio Bardellino». Così nasce un padrino. Da killer a mente strategica dei casalesi. Ecco il racconto che Antonio Iovine sta consegnando ai pm Antonello Ardiduto e Cesare Sirignano, con l’aggiunto Giuseppe Borrelli. Verbali depositati nel processo per collusioni contro un ex sindaco Pd, Enrico Fabozzi, oggi consigliere alla Regione Campania nel gruppo misto.
LA LATITANZA E GLI OMICIDI
«Ho partecipato all’omicidio del vigile urbano di San Cipriano. Poco prima c’era stato quello di Antonio Bardellino nell’88, in Brasile: mi chiesero di andare con loro, ma io non vi partecipai perché non avevo il passaporto per partire. In quel periodo, trascorrevo la latitanza a Toulon, presso Nizza. Ci riunivamo in una grande villa, ero con mia moglie e mia figlia. Avevamo creato una compagnia di amici. Tra gli omicidi da me commessi prima del 1988 ricordo quello di Nicola Griffo. Poi quello di tale Ciccillo ‘ o suricillo ( il topolino, ndr) di Casal di Principe, ucciso nei pressi di una discoteca, e poi il quadruplice omicidio di Pagano, Mennillo, Orsi e Gagliardi per il quale sono stato condannato. E ancora: poi anche quello di Liliano Diana, nel marzo del 1991. Nello stesso periodo fu ammazzato, a Cascais, in Portogallo, Mario Iovine: da uno straniero assoldato da Nunzio De Falco. Nel 1991 mi arrestarono, sono stato dentro fino al ’95. All’uscita dal carcere, la mia prima preoccupazione fu quella di capire perché era stato ammazzato mio fratello».
LA CAMORRA IMPRENDITRICE
«Da quando sono uscito dal carcere, il clan ha assunto una dimensione essenzialmente imprenditoriale, di cui io e Michele Zagaria siamo stati senz’altro i principali protagonisti. Si tratta di un sistema che vede coinvolti imprenditori e funzionari pubblici e consente di controllare l’assegnazione e l’espletamento degli appalti nei diversi comuni controllati dal clan. Non c’è stato bisogno, tante volte, non solo di usare la violenza, ma addirittura nemmeno di parlare in maniera esplicita. I funzionari pubblici sono stati costantemente corrotti. All’imprenditore offrivamo una sorta di pacchetto completo: che comprendeva anche il fatto che lui si rapportava esclusivamente con me e poi io provvedevo di volta in volta a regolare i conti con chi territorialmente aveva diritto a una quota»
LA REGOLA DEL 5 PER CENTO
«Si tratta di una mentalità che possiamo definire “casalese” che ci è stata inculcata fin da giovani. È quella che posso definire la regola del 5 per cento, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che prima ancora che i camorristi, ha diffuso sul nostro territorio proprio lo Stato che è stato del tutto assente nell’offrire delle opportunità alternative e legali alla nostra popolazione. Tanti gli appalti. Tra i grandi lavori che abbiamo gestito, l’affare della rete di distribuzione del gas metano nei sette comuni dell’agro aversano, e anche il Polo calzaturiero».
I RAPPORTI CON LA POLITICA
«C’erano soldi per tutti, un sistema completamente corrotto. Qui va considerata anche la parte politica e i sindaci, i quali avevano interesse a favorire essi stessi alcuni imprenditori in rapporti con i clan: per avere vantaggi durante le campagne elettorali in termini di voti e finanziamenti. Non faceva alcuna differenza il colore politico del sindaco perché il sistema era ed è operante allo stesso modo. Anche una personalità come l’ex parlamentare Lorenzo Diana, che pure ha svolto una dura azione politica di contrasto, ha permesso che continuassimo ad avere questi appalti anche quando c’erano sindaci della sua parte politica». Ma Diana replica a Repubblica: «Iovine si metta d’accordo con se stesso. Perché voleva uccidermi, allora? Sette pentiti hanno raccontato che il clan voleva farmi saltare in aria. Sono sotto scorta da 18 anni, per le mie denunce».
IL BUSINESS COL MINISTERO
«A Villa Literno si dovevano realizzare le piazzole per le ecoballe dei rifiuti: un settore nel quale giravano molti soldi e qui la faceva da padrone Michele Zagaria che, con il fratello Pasquale, aveva rapporti privilegiati con la struttura della Regione che doveva assegnare questi lavori e decidere i siti per le piazzole. Un altro affare riguardava il rimboschimento: lavori appaltati attraverso finanziamenti del ministero dell’Agricoltura. Se non sbaglio, i finanziamenti si riferiscono al periodo in cui il ministro era Alemanno: lui venne a San Cipriano per una manifestazione elettorale, su invito di mio nipote Giacomo Caterino, anch’egli in politica, tanto che è stato candidato alle elezioni comunali e provinciali ed è stato anche sindaco di San Cipriano». Ma Alemanno (estraneo alle indagini) smentisce: «I fatti risalgono a un periodo antecedente la mia gestione al Ministero. La nostra amministrazione è quella che ha scoperto lo scandalo “Forestopoli”. Quanto a quel comizio, era un normale appuntamento elettorale e su Caterino non gravava alcun sospetto».
70MILA EURO AL MESE
«Nel luglio 2007 ero in vacanza ad Ajaccio, in Corsica, con la famiglia. Mentre eravamo sulla spiaggia di Porticcio, mio figlio Oreste mi disse che nella spiaggia a fianco si trovava Michele Zagaria, che noi chiamavano in via convenzionale “zio Angelo”». Erano entrambi superlatitanti, da una dozzina d’anni. «Ci vedemmo al ristorante, ci demmo appuntamento a settembre per trovare un comune accordo su alcune cose. Ma Zagaria era ormai mosso solo dal suo interesse per i soldi. Ho gestito la cassa del clan fino al 2008. Ogni mese il clan dei casalesi poteva contare su circa 350 mila euro di introiti, senza contare gli incassi personali che ciascun capo poteva ottenere. Riuscivo a racimolare con tutti questi affari tra i 130 e i 140mila euro al mese; avevo l’onere di versarne 60mila per gli stipendi». Ne restavano per lui almeno 70mila al mese.
Un lusso che ora appartiene al passato, per Iovine. «Voglio cambiare vita e chiudere una pagina. Ho 50 anni, e credo sia giunto il momento di avere una vita più giusta della precedente».

Dario Del Porto e Conchita Sannino, la Repubblica 29/5/2014