Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano 29/5/2014, 29 maggio 2014
GLI “AMICI” VISTI DA VICINO
Altro che realtà virtuale. Martedì sera piazza San Giovanni era piena: no, non quella di Roma, ma di Ragusa, dove gli abitanti della città hanno festeggiato, loro sì, il trionfo di Deborah Iurato, ventunenne ragusana vincitrice dell’ultima edizione di Amici. Ed era stracolma anche piazza Giacomo Matteotti a Tarquinia, dove c’era persino un maxi-schermo – quello che mancava al comizio di Renzi in piazza del Popolo – allestito dal Comune in collaborazione con la proloco per seguire i Dear Jack, la band del paese arrivata sugli schermi nazionali e in cima alle classifiche grazie al talent di Maria De Filippi. Traboccavano di migliaia di urlanti e giovanissime groupies in carne ed ossa, accompagnate dalle mamme, anche gli spalti degli enormi Studios di Via Tiburtina a Roma – dove il traffico l’altra sera era impazzito – mentre oltre cinque milioni di persone seguivano la gara, arrivata al tredicesimo anno, da casa.
A guardarlo da vicino, con lo sguardo marziano di chi entra in una specie di mondo parallelo, si capisce ancora meglio che qui c’è un pezzo di paese reale, un po’ eccitato, un po’ disperato . Lo aveva furbamente intuito Matteo Renzi l’anno scorso ad aprile, quando alla faccia “dell’ideologia da radical chic”, come dichiarò a Chi dopo le polemiche sulla sua partecipazione, si presentò alla platea di Amici con giacchetto nero stile Fonzie, come avrebbe fatto anche questa volta se le norme della par condicio non glielo avessero impedito (ma alla finale, in sua vece, c’è la moglie Agnese e i tre figli, mimetizzati tra il pubblico).
“Se so magnati tutto, almeno qui te la giochi”, mi dice il padre di una ragazza con borsetta Vuitton e unghie laccate. Lei annuisce e cita gli ex vincitori Emma Marrone, Marco Carta, Alessandra Amoroso e il rapper “buono” Moreno (quest’anno coach di una delle due squadre, come Miguel Bosé). Gente come lei, che ce l’ha fatta non solo a trovare un lavoro, ma a “vivere col proprio talento”, come la visionaria De Filippi - “è come Steve Jobs”, ha dichiarato il dj e giudice Gabry Ponte – ripete di continuo, insieme alle parole chiave “speranza, futuro, merito”.
È il mantra di questo universo divenuto post berlusconiano prima della crisi del berlusconismo. Dove nel 2008 già si invocava il “Yes we can” di Obama e oggi papa Francesco, dove passano don Ciotti e Panariello, la star internazionale del momento che da un tocco cosmopolita e Checco Zalone che prende per i fondelli La Grande Bellezza, Piersilvio Berlusconi (De Filippi lo avrebbe voluto) e Matteo Renzi. Dove, infine, la spending review è già iniziata, visto che da quest’anno il programma ha contenuto i costi e guai a scordare gli sponsor che hanno permesso di portare in gara brani inediti.
Mentre le esibizioni si ripetono un po’ estenuanti – “Quante ne cantano? 42 a testa?” ironizza la rete – e i giudici Gabry Ponte, Luca Argentero e Sabrina Ferrilli spaziano dal “bravissimi ragazzi” a “una performance emozionante” (tanto che su Twitter molti invocano il dizionario di sinonimi), la sensazione è quella di stare in una specie di grande famiglia, lontana dal patinato, e più spietato, pianeta di X-Factor. Dove puoi far vedere chi sei, ma senza vergognarti di come sei: anche se, ad esempio, l’italiano è una lingua oscura e non sei un’amazzone, come nel caso dell’emozionata vincitrice, l’altra sera in fuseaux neri e sandalo nero tacco quindici; o se hai un ciuffo che nessun parrucchiere potrebbe mai concepire, come nel caso di Alessio Bernabei dei Dear Jack, e canti in semifinale The Power of love; o sei un “latinista” non perché parli latino ma perché danzi solo latinoamericano, come il simpatico napoletano Vincenzo Durevole, vincitore della categoria ballo.
Alla fine tutti piangono, mentre mille coriandoli cadono dal cielo, la vincitrice in lacrime abbraccia “mamma Maria”, le groupies si puliscono il mascara, sciolto per la Grande Emozione. Fine della trasmissione e ritorno al mondo reale? Non proprio. Il pubblico sciama felice, forse perché intuisce che le chances reali sono qui, proprio come quei 25.000 che solo quest’anno hanno partecipato ai provini: giovani, precari o lavoratori in nero, spesso arrivati dalle periferie del paese e accomunati da una certezza. Che oggi l’unico ascensore sociale rimasto in Italia si chiama talent, mentre il televoto del parente, o dell’amico del parente, ha preso quasi il posto della vecchia segnalazione. Come biasimarli, se oggi la borsa di studio non te la dà più l’università ma, semmai, Tezenis (altro sponsor storico del programma)?
Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano 29/5/2014