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 2014  maggio 29 Giovedì calendario

NUOVA ZELANDA 1860 CORSA ALL’ORO TRA BRIVIDI E MISTERI


Walter Moody, scozzese, nato a Edimburgo, appena sbarcato dalla Godspeed che lo ha portato a Hokitika, una cittadina della costa occidentale della Nuova Zelanda, si dirige verso il primo albergo che si trova davanti agli occhi, il Crown Hotel. Siamo negli Anni Sessanta dell’Ottocento, nel bel mezzo della neozelandese febbre dell’oro, con la sua canonica folla di uomini avventurosi e di avventurieri, di cercatori d’oro e di prostitute, di commercianti e di disperati. Moody entra nell’albergo e nota che nella sala si trovano riuniti dodici uomini, dall’atteggiamento vagamente misterioso.
Così incomincia I luminari, il mastodontico romanzo di Eleanor Catton, canadese di nascita ma cresciuta in Nuova Zelanda, che con questo suo libro, a soli 28 anni, ha vinto il prestigiosissimo Booker Prize. I luminari è un romanzo storico, un romanzo che nel presente narra le vicende di un lontano passato; ma al tempo stesso la storia è raccontata come se il narratore, nell’Ottocento, si rivolgesse a dei lettori a lui contemporanei, come se si trattasse cioè di un romanzo che nel presente parla del presente. Un romanzo ottocentesco dunque, come quelli di Dickens e di George Eliot; o magari come quelli di autori meno grandi, capaci però di raccontare storie pieni di misteri, di scoperte, di straordinarie coincidenze, come avveniva nel «sensation novel» vittoriano.
Con straordinario talento, Eleanor Catton rivisita gli schemi, le tecniche, le trovate narrative di quel tipo di romanzi, arricchendole poi con una sua invenzione di sorprendente originalità, che è dichiarata nel titolo stesso del libro. I luminari sono il sole e la luna, mentre i dodici uomini sono collegati ai dodici segni dello zodiaco e le loro azioni sono predeterminate dal movimento dei pianeti, la cui mappa viene presentata all’inizio di ogni capitolo – dodici capitoli, per l’appunto, che crescono e diminuiscono in lunghezza in modo da raffigurare e corrispondere al ciclo lunare.
I dodici uomini riuniti nella sala del Crown Hotel discutono degli avvenimenti accaduti un paio di settimane prima: la morte di una specie di eremita, la scomparsa dell’uomo più ricco della città, il ritrovamento, in mezzo alla strada, di una nota prostituta locale, inebetita dalla droga. Tutti loro hanno qualcosa a che fare con questi fatti, tutti conoscono un tassello dell’intera vicenda, ma non sono in grado di ricostruirne il mosaico.
Quando i dodici hanno finito di raccontare ciascuno il suo pezzo di storia, siamo arrivati quasi alla metà del libro. Dopo questa premessa di quattrocento pagine può così avere inizio la ricerca della verità su ciò che è accaduto: le cinquecento pagine che restano sono dedicate alla soluzione del mistero, al thriller sui generis in cui in fondo il romanzo consiste. Come in una detective story le informazioni che man mano arrivano al lettore «costruiscono» la trama e lo coinvolgono nell’indagine, lasciandolo in quell’incertezza che è la madre della suspense. Eleanor Catton, tuttavia, nobilita e arricchisce il meccanismo attraverso l’uso, come in un romanzo modernista, della voce e del punto di vista di molteplici narratori (i dodici), nessuno dei quali è affidabile, perché ognuno ha una propria versione dell’accaduto, diversa, in misura maggiore o minore, da quella degli altri. Non si tratterebbe, dunque, come sarebbe in un giallo, di versioni diverse perché ciascuna nasconde qualcosa. Ma di versioni diverse perché corrispondono a diversi punti di vista. O forse, invece, davvero nascondono qualcosa?
Hokitika fu fondata nel 1864. Due anni dopo era una delle città più popolose della Nuova Zelanda, piena di gente dal passato ignoto e dal presente misterioso. Tutto poteva essere accaduto e accadere in quel mondo agitato dalla febbre dell’oro. L’indagine riguarda singole vicende; ma nel suo svilupparsi investe quell’intero momento storico, a cui conferisce il respiro dell’epica. E’ però delle singole vicende che il lettore vuole sapere. E doverosamente, come in ogni thriller che si rispetti, l’autrice raccoglie nel finale i mille fili della trama per sorprenderci con la sua rivelazione. Tuttavia, poiché I luminari imita ma non è un romanzo ottocentesco, la conclusione non giunge in modo lineare al lettore. E’ invece dettata da una scelta di tipo postmodernista, forse un po’ sconcertante ma, per così dire, dovuta. Perché il libro di Eleanor Catton è anche un manifesto del piacere della lettura, una riflessione su cosa è il romanzo, su come i suoi «trucchi» possano incantare il lettore. Per quasi mille pagine.

Paolo Bertinetti, La Stampa 29/5/2014