Michele Brambilla, La Stampa 29/5/2014, 29 maggio 2014
BRESCIA, LA LEONESSA DELLA MEMORIA
Sono le 10 e 12 minuti e piazza della Loggia è stracolma di gente raccolta in un sacro silenzio. Si sentono solo, da ogni parte della città, le campane a morto fatte suonare da tutte le parrocchie: otto rintocchi, tanti quanti furono i morti quella mattina del 28 maggio 1974.
In piazza ci sono anche Giuliano Pisapia e Flavio Merola, sindaci di Milano e Bologna, altre due città colpite dalle bombe: così questo è un momento che diventa memoria non solo per Brescia, ma per tutta Italia. Sono passati esattamente quarant’anni: l’attuale presidente del Consiglio non era ancora nato. Era un’altra Italia: ma non bisogna dimenticare.
L’altoparlante trasmette la registrazione del discorso che stava tenendo il sindacalista Franco Castrezzati. Si sente: «La nostra Costituzione vieta sotto qualsiasi forma la ricostituzione del disciolto partito fascista...». A un certo punto ecco una frase che comincia così: «A Milano...». Chissà che cosa voleva dire Castrezzati: forse qualcosa sulla strage di piazza Fontana. Ma la frase è interrotta da uno scoppio. Risentiamo, tutti insieme, quel boato. Poi le parole concitate: «Una bomba! Compagni! State fermi!». Ecco, ora la registrazione si interrompe, la piazza applaude. Siamo tornati nel 2014.
Le commemorazioni sono considerate, anche da noi dei giornali, come qualcosa di un po’ noioso, notizie che non meritano molto spazio. Ma essere qui a Brescia in questa occasione fa capire come la memoria sia imprescindibile per un Paese che vuole avere un futuro. Non è facile, tenerla viva. Una ricerca del Censis in tutte le scuole di Brescia e provincia ha fornito risultati sconfortanti: per la maggioranza degli studenti – il 37 per cento – fu la mafia a mettere quella bomba. Il secondo gruppo più numeroso, 28 per cento, dice «le Brigate Rosse». Solo per il 26 per cento fu una strage compiuta da estremisti di destra. Ma bisogna guardare anche il lato positivo: il 91 per cento degli studenti dice che la memoria è decisiva.
E forse nessuna città in Italia crede alla memoria come Brescia. Girando la città si avverte ovunque un senso di grande partecipazione, e un lutto ancora vivo. In piazza Rovetta la signora Rosanna Zanetti ha attaccato a una parete della sua edicola le prime pagine, originali, dei quotidiani di allora: allora si facevano le «edizioni straordinarie». Seduto a un tavolino all’ingresso della piazza c’è un anziano sacerdote, don Piero Lanzi, che da quarant’anni annuncia l’arrivo in piazza delle varie delegazioni. Il pomeriggio arriveranno don Luigi Ciotti e Moni Ovadia; la mattina presto c’è stata una messa e la sera ci sarà un concerto. La Flc Cgil nel pomeriggio presenta le biografie di due delle vittime, Livia Bottardi e Giulietta Banzi Bazoli. Nella sala San Barnaba i tre sindaci (c’è ovviamente anche quello di Brescia, Emilio Del Bono, insieme con Pisapia e Merola) incontrano gli studenti e rispondono alle loro domande. C’è anche Luca Tarantelli, che aveva 13 anni quando le Brigate Rosse gli uccisero il papà Ezio, economista: viene applaudito quando richiama alla responsabilità i tanti intellettuali che, ancora oggi, distinguono fra un terrorismo cattivo e uno buono, o quantomeno nobile.
Insomma in tutta la città e la provincia è un fiorire di iniziative, e non solo per oggi. Brescia è Leonessa anche nella memoria. Non ha ancora avuto giustizia, però. Ci sono state cinque istruttorie che hanno dato origine a tredici processi. Il quadro generale è chiaro: estremisti neofascisti e servizi segreti deviati. Ma non si è arrivati ad alcuna condanna.
Tuttavia la speranza non muore. A un certo punto sul palco sale Arnaldo Trebeschi, che il 28 maggio 1974 perse il fratello Alberto e la cognata Clementina Calzari. È l’uomo che piange, inginocchiato, la mano sinistra sulla fronte, in una celebre foto in bianco e nero. «Non ho mai voluto parlare per quarant’anni», dice: «Lo faccio oggi perché ho un motivo nuovo per sperare nella verità e nella giustizia». Si riferisce alla sentenza della Cassazione che ha bocciato due delle ultime assoluzioni e ha rimandato a processo Carlo Maria Maggi, ex capo di Ordine nuovo, e Maurizio Tramonte, la «fonte Tritone» che avvertì i servizi segreti della strage imminente.
La lezione di Brescia è anche e soprattutto la lezione di un uomo. Si chiama Manlio Milani ed è il presidente della Casa della Memoria. Quella mattina perse la moglie e ha dedicato tutta la vita ad aiutare l’Italia a non dimenticare. Mai con odio, però. Era un sindacalista del Pci ed è tuttora un uomo di sinistra. Ma si è sempre battuto per dire che «i morti sono di tutti» e ha voluto dedicare il quarantesimo anniversario ad Andrea Arcai, un ragazzo missino, figlio di un magistrato, che fu ingiustamente arrestato per la strage. La speranza di un Paese è fatta anche di uomini così.
Michele Brambilla, La Stampa 29/5/2014