Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 25 Domenica calendario

IL MITO SENZA FINE


Mentre a Cannes, mercoledì 14 maggio, veniva proiettato il film Grace di Monaco di Olivier Dahan, il principe Alberto e la moglie Charlene preferivano saltare la grande première e andare nella vecchia contea dei Grimaldi, a Carladès e a Vic-sur-Cère, per scoprire una targa in memoria del passaggio in quei luoghi dell’antenato Luigi I, nel 1668. Tanto per sottolineare il loro distacco, condiviso dalle altre due figlie di Grace e Ranieri, Carolina e Stéphanie, e già espresso in un comunicato. Nel dispaccio diffuso dal Palazzo sul Rocher la pellicola veniva definita «uno stravolgimento della storia a fini puramente commerciali», e sottolineava che gli eredi Grimaldi non volevano «in nessun modo essere associati a questo film». Il biopic (film biografico), ambientato nel 1962, racconta di un Ranieri in versione rude alle prese con il generale de Gaulle che vuole far pagare le tasse ai francesi residenti nel Principato e di una Grace indecisa tra la tentazione di tornare attrice con Hitchcock, in Marnie, e la fedeltà al ruolo di principessa e madre di famiglia. «Non credo abbia mai rimpianto la scelta di lasciare il cinema per venire qui e formare la nostra famiglia», ha confessato Alberto in un’intervista al Corriere della Sera. Il fatto è che la storia che ha urtato la famiglia non è piaciuta nemmeno al pubblico, mentre i giornali francesi hanno fatto notare alcune imprecisioni “storiche”, come il fatto che Hitch non mise mai piede nel Principato per convincere Grace a tornare sul set né De Gaulle partecipò una sola volta nella sua vita al Ballo della Croce Rossa a Montecarlo.

Maledetto gomito. Nemmeno il confronto con una fiction così contestata è riuscito a scalfire il mito della principessa star. Il ricordo è rimasto intatto nonostante il tempo, i quasi trentadue anni che separano i nostri giorni da quella sciagurata mattina del 13 settembre 1982, quando l’ex attrice da Oscar (nel 1955, per La ragazza di campagna, di George Seaton) volò giù dal tornante della Tourbie, il coude du diable, a bordo della sua Rover 3500S V8. Accanto la figlia 17enne Stephanie e, adagiato sul sedile posteriore, un abito per la serata appena stirato dalla guardarobiera nella residenza di Roc Agel, il rifugio preferito della moglie di Ranieri III. E la favola bella ma dal drammatico finale (Grace chiuse gli occhi per sempre il 14 settembre, all’ospedale di Monaco) della bionda ragazza della Philadelphia ricca e provinciale, diventata prima una star e poi una principessa continua a mantenere intatto il suo fascino. Come raccontano le parole che abbiamo raccolto nel Principato tra quelli che l’hanno conosciuta.
«Mia mamma si ricorda bene dei primi anni della principessa a Monaco», racconta Henri Fissore, diplomatico oggi ambasciatore presso il primo ministro del Principato. «All’inizio non parlava ancora il francese ma si impegnava ugualmente nella vita sociale e partecipava sia alle manifestazioni popolari che agli eventi ufficiali del suo nuovo Paese». La tenacia di Grace nell’avvicinarsi ai suoi sudditi e imparare a perfezione la loro lingua è uno dei motivi per i quali è rimasta nel cuore dei monegaschi, che le dedicano ogni anno numerose iniziative. Come la mostra itinerante Gli anni di Grace Kelly, che è partita da Monaco nell’estate del 2007 e ha girato tutto il mondo, da Roma (2009, a Palazzo Ruspoli) a Philadelphia, città natale della principessa (ottobre 2013, al Michener Art Museum), per un totale di quasi un milione di visitatori. La celebrazione planetaria di una donna che ha realizzato il classico sogno di tante ragazze della sua generazione (e di qualche altra), non libera però la sua immagine da ombre che l’hanno accompagnata anche in vita. Molti hanno sostenuto (e tra questi il regista Dahan) che Grace abbia pagato le sue scelte regali con una prigione dorata, diventata con gli anni depressione, dovuta anche alla fine di quell’amore da favola. Non è d’accordo, naturalmente, il principe Alberto, salito al trono alla morte di Ranieri nel 2005: «Quello tra i miei genitori è stato un grande amore, fatto di comprensione e complicità», ha detto ancora al Corriere della Sera. «Sul loro rapporto si è speculato parecchio, qualcuno ha parlato di crisi, ma io non ho mai percepito nessuna tensione. Sì, c’erano ogni tanto delle discussioni, ma come in tutte le coppie». Fu proprio in nome di quel legame che nel 1984, a due anni dalla morte di Grace, il prince Bâtisseur (principe costruttore, per tutti gli immobili edificati nei 2 kmq del Principato) compì un gesto romantico e per una volta, invece di far colare cemento, fece progettare e realizzare a Fontvieille un giardino delle rose intitolato alla moglie scomparsa, che quei fiori adorava. Tra poche settimane, il 14 giugno, la Roseraie Princesse Grace riaprirà a trent’anni esatti dalla creazione e dopo otto mesi di lavori di ristrutturazione, arricchita nell’estensione e nel numero di piante. Si sente l’amorosa impronta écolo di Alberto reinterpretata in chiave green, senza alcun prodotto chimico e con una gestione “ragionevole” dell’acqua d’innaffiamento. Così, tra i fiori, il ricordo si tramanda.
«Ovvio che, quando si pensa a Grace, a tutti tornino in mente la star e la principessa», racconta ancora Fissore. «Ma i monegaschi che l’hanno conosciuta amano rammentare soprattutto la madre che ha dato al loro Paese tre figli. E le sono grati anche per il suo fascino, che all’epoca regalò una grande fama a Monaco». Alla fine degli Anni 50, infatti, i pettegolezzi si concentrarono sull’ipotesi che il matrimonio tra la star e il sovrano del piccolo Stato senza tasse fosse in realtà una riuscita combine giocata a tavolino: alla fine, la bellezza di Hollywood avrebbe conquistato la corona e il Principato avrebbe guadagnato i favori del jet set, capitali freschi e un profondo lifting d’immagine. Bêtises, si direbbe da quelle parti. Anche se di sicuro Onassis arrivò a Montecarlo grazie al richiamo della bionda ragazza di Philadelphia. Non solo per passarci le vacanze. Tanto che nei primi Anni 60 la principessa fu di grande sostegno (e qualcosa di più) per Ranieri nell’arginare l’armatore che voleva impossessarsi delle migliori risorse del Principato. «L’ho conosciuta in quegli anni», ci racconta Ljuba Rizzoli, vedova di Andrea, dal buen retiro monegasco. «Eravamo a cena a La Vigie con il mio primo compagno, Ettore Tagliabue, Onassis e la prima moglie Tina Livanos. Poi ci siamo riviste sulla barca dell’armatore greco. Era bella, capelli sciolti e camicia bianca, di un’eleganza disarmante. A lei Tina piaceva e cercò di adoperarsi per evitare il divorzio degli Onassis. Poi, con Jackie, ebbe rapporti più complessi. Con mio suocero Angelo Rizzoli, invece, sulla terrazza dell’Hotel de Paris, la principessa parlava di cinema. Ma io la vedo ancora in piscina, al Beach Club, con i bambini e la cuffia di gomma con i fiori». Che la gioia della sua vita fossero i figli, nei giorni fulgidi come in quelli cupi trascorsi nel Palazzo sulla Rocca, nessuno ha mai dubitato. «Era una mamma rigorosa ma giusta, una donna di grande equilibrio e sensibilità con noi bambini», aveva detto ancora Alberto al Corriere, «non era severa ma sapeva farsi rispettare e la sua gentilezza nell’avvicinarsi ai piccoli era del tutto particolare». E Fissore rafforza il ricordo: «I bambini prima erano intimoriti da quella bellissima signora, poi venivano conquistati dallo charme e dalla semplicità della principessa». «Andava spesso a passeggio con i figli al mercato della Condamine», aggiunge Giovanni Ghione, imprenditore della moda, che dopo aver guidato l’azienda scozzese di cachemire Dawson, tra Regno Unito, Italia e Montecarlo, ora vive stabilmente nel Principato. «Conduceva una vita semplice. Ma erano tempi diversi: poche guardie del corpo e pochi paparazzi».
Davvero altri tempi. Chissà come si sarebbe trovata, la principessa Grace a regnare sulla Monaco dei nostri giorni. Di sicuro sarebbe stata fiera delle nuove opere volute da suo figlio Alberto: dal nuovo Yacht Club di Norman Forster, che aprirà i battenti il prossimo 20 giugno, al futuro complesso di sei palazzi da 7-8 piani, firmati dall’archistar Richard Rogers, che sorgerà sulle ceneri del vecchio Sporting d’Hiver, nel cuore del Carré d’Or. E avrebbe apprezzato il progetto affidato al Gruppo Bouygues per la costruzione di una penisola di 6 ettari davanti al Grimaldi Forum, con un investimento iniziale, per le sole fondamenta, di un miliardo di euro. Certo, non sarebbe dispiaciuto alla (anche) pragmatica Grace, la ripresa del mercato immobiliare, che negli ultimi due anni ha risollevato le quotazioni degli immobili in vendita, triplicato i canoni d’affitto, arrivando a locazioni da 1.500 euro a mq.
La principessa venuta dalla tranquilla provincia americana si sarebbe trovata, però, meno à l’aise con la cronaca che in queste ultime settimane ha coinvolto il Principato. Prima, il 6 maggio scorso, l’aggressione a colpi d’arma da fuoco a Hélène Pastor e al suo autista, Mohamed Darwich: la 77enne erede di uno dei più ingenti patrimoni immobiliari monegaschi e di una famiglia molto vicina ai Grimaldi è tuttora in coma, lo chauffeur è morto per le ferite e l’indagine riservatissima non ha ancora trovato i colpevoli, né il movente. Poi, l’affaire che ha portato a Regina Coeli l’ex ministro italiano Claudio Scajola, tra l’altro accusato di aver favorito la latitanza del condannato per concorso esterno in associazione mafiosa Amedeo Matacena in accordo con la moglie di quest’ultimo, Chiara Rizzo (pure lei in carcere). I coniugi Matacena erano da anni residenti a Monaco e la bionda Chiara era stata fotografata, in posa sexy sul cofano di una Ferrari, per un libro dedicato alle più belle donne del Principato.

La nuotatrice a corte. No, tutto questo alla Princesse Grace (che i monegaschi pronunciano alla francesce, «Gras») non sarebbe proprio piaciuto. Forse la sua classe innata le avrebbe fatto storcere il magnifico nasino anche davanti ai nuovi ricchissimi arrivati, dai patrimoni di provenienza incerta, che rischiano di allontanare dalla Place du Casino i residenti più sofisticati. «La situazione non è questa», precisa Isabella Gangale, immobiliarista d’origine italiana abituata a valutare le “migrazioni” sulla base del mercato edilizio. «Qui tutto è come sempre. Inglesi, belgi, olandesi, tedeschi, russi vengono nel Principato perché non si trovano bene nel loro Paese. A Monaco cercano un alto livello di qualità della vita e un sistema fiscale favorevole. Ma non scandalizziamoci: è sempre stato così. Adesso poi, che siamo usciti dalla Black List e pure dalla lista grigia, possiamo essere considerati finalmente trasparenti». «Tanto che sono arrivati anche i cinesi e gli indiani», completa il quadro Giovanni Ghione. «Questo è il nuovo pubblico, che rende il Paese ancor più cosmopolita».
Tutto va bene, dunque. Il Principato tiene, il mito di Grace resiste. Così vivo e presente da creare persino qualche problema a chi, con questa icona immortale, deve fare i conti. Come Charlène Wittstock, l’ex nuotatrice sudafricana diventata la nuova principessa, dopo il matrimonio con Alberto. Dalla sua comparsa al fianco del sovrano, alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006, bionda, elegante e riservata, il paragone con Grace è diventato un tormentone. Ma lei , sempre più elegante e attiva nelle attività benefiche, sembra confermare che le donne che sposano dei regnanti devono avere personalità forti e sapere a quali pressioni devono sottostare. Grace insegna.