Laura Larcan, Il Messaggero 29/5/2014, 29 maggio 2014
GRANDE GUERRA L’ORRORE INEDITO
LA SCOPERTA
«Brazzini Bruno, nato nel 1893, meccanico, ora soldato nell’84esimo reggimento fanteria» è accusato di aver dato, attraverso una lettera spedita dalla zona di guerra, notizie diverse da quelle dei comunicati ufficiali, denigratorie dell’esercito e degli ufficiali. Era il 1916 e ad emettere la sentenza è il tribunale di guerra di Bassano. Anche «Cozzi Angelo, nato nel 1891, incensurato e aspirante ufficiale al 112° Reggimento fanteria», subisce la stessa accusa. La sua colpa è una lettera indirizzata alla moglie Maria con «affermazioni contrarie all’esercito». La sentenza porta la data del 1917, siglata dal tribunale speciale di guerra. Sono solo alcune delle sentenze di condanna di soldati italiani sul fronte della Grande Guerra che si leggono su manifesti che un secolo fa venivano affissi per le strade di Roma e di altre città come monito per la cittadinanza e soprattutto per gli altri soldati italiani.
I FALDONI SEGRETI
Decine e decine di documenti inediti che sono riemersi incredibilmente dai depositi del Vittoriano e che svelano retroscena sugli eroi perduti della Prima guerra mondiale. Carte segrete che sono riaffiorate durante un complesso progetto di ricerca e schedatura, avviato nel 2006 sotto la guida del direttore del Museo del Risorgimento Marco Pizzo e concluso solo tre mesi fa, nei faldoni dell’Archivio della guerra, che giace dal 1915 nei magazzini dell’Altare della Patria. E non è l’unica novità. Perché tra i fogli dell’Archivio della guerra è riemerso un rarissimo fondo di foto censurate. Come racconta Marco Pizzo, riguardano due casi particolari della guerra. Sono foto delle esecuzioni delle condanne a morte per sentenze dei tribunali militari, e foto dei campi di prigionia. Scenari che coinvolgono le sorti di soldati italiani dimenticati. Le esecuzioni delle sentenze, infatti, anche se venivano documentate da fotografie eseguite dal personale dell’esercito, non avevano mai l’autorizzazione ad essere pubblicate. E quindi censurate. «Un capitolo poco noto - avverte Pizzo - è che dopo la disfatta di Caporetto i soldati italiani che finirono nelle prigioni austro-ungariche furono dimenticati dallo Stato italiano, perché vennero trattati come disertori. Tant’è che molti di loro ritornarono in Italia solo nel 1919». Da questa scoperta, Pizzo è partito con la sua équipe di ricercatori per un’indagine incrociata sui documenti relativi ai tribunali militari e ai campi di prigionia, dalla Biblioteca di storia contemporanea all’Archivio centrale dello stato.
L’ESPOSIZIONE
Un’operazione che costituisce ora il cuore della mostra “La Prima Guerra Mondiale 1914-1918 Materiali e fonti”, visitabile dal 31 maggio al 30 luglio al Vittoriano e realizzata da “Comunicare Organizzando” guidata da Alessandro Nicosia, in occasione del centenario del conflitto bellico. «I documenti ritrovati svelano una visione nuova della Grande guerra- sottolinea Pizzo - Per la prima volta si potranno vedere gli originali delle sentenze dei tribunali militari, e i manifesti delle condanne a morte. Una documentazione emotivamente molto coinvolgente perché ci racconta l’intera vicenda del soldato, svelandoci perché ha fatto una diserzione, o perché si è rifiutato di combattere». E il fondo delle foto censurate ha regalato un’altra sorpresa ancora, vale a dire gli originali dell’archivio fotografico dell’esercito austro-ungarico. In sostanza, tutte le immagini censurate del nemico, che documentano le esecuzioni capitali di soldati sul fronte italiano. Sulle carte d’epoca si legge «Reservet», censurato. E scorrendo fra le mani queste foto, colpiscono come un pugno allo stomaco anche le condizioni dei prigionieri italiani nei campi di concentramento austriaci. Uomini nudi ridotti ad agghiaccianti mucchi di ossa: «A vederle così sembrano foto della Shoah - osserva Pizzo - Questo fa capire che la tragedia della Prima guerra mondiale consiste nell’aver dato inizio a tutte le atrocità del ventesimo secolo».