Alessandro Campi, Il Messaggero 29/5/2014, 29 maggio 2014
FUGA DAL CENTRODESTRA
8 MILIONI DI VOTI PERSI
L’ANALISI
Per comprendere l’esatta portata della crisi politica che ha investito ormai da tempo il centrodestra bisogna partire dalla cruda eloquenza delle cifre. Nulla più dei numeri illustra un declino che appare al tempo stesso inarrestabile e strutturale, dunque difficile da invertire.
VUOTO PROGETTUALE
Al lento prosciugamento elettorale del suo blocco sociale di riferimento bisogna infatti aggiungere le divisioni e i contrasti tra i soggetti partitici che un tempo costituivano la coalizione berlusconiana, la mancanza di una leadership unitaria e spendibile nella competizione, il ritardo nel rinnovamento dei gruppi dirigenti (soprattutto a livello centrale) e un vuoto progettuale reso ancora più manifesto dall’emergere di proposte politiche (il riformismo renziano, il populismo grillino) che, per quanto tra di loro assai diverse, hanno mostrato una forte capacità d’attrazione sullo storico elettorato berlusconiano, perlomeno su quella parte di esso che non ha scelto di rifugiarsi nell’astensionismo.
L’ALLEANZA CON FINI
Nel 2006, alle elezioni perse contro Prodi per un’incollatura, Berlusconi con i suoi alleati (tra i quali Casini) ottenne poco più di 19 milioni di voti (49,8%). Alle politiche anticipate del 2008 la sua coalizione trionfò alla Camera con poco più di 17 milioni di voti (46,81%). Al solo Pdl, la nuova sigla voluta da Berlusconi e Fini, ne andarono all’incirca 13 e mezzo. Con i 3 milioni raccolti, nella stessa tornata, dall’Udc di Casini e dalla Destra-Fiamma Tricolore guidata da Daniela Santanché, l’area politico-sociale riconducibile al centro-destra, nelle sue diverse articolazioni, aveva mobilitato qualcosa come 20 milioni di italiani, lo stesso numero di due anni prima.
LA SOMMA
Alle politiche del 2013, l’alleanza berlusconiana ha invece conseguito poco meno di 10 milioni di suffragi (29,18%). Il Pdl, orfano di Fini, ne ha avuti 7.332.1342 (21,56%): circa 6 milioni in meno rispetto al 2008. Pure sommando i 3 milioni e mezzo di voti ottenuti dalla coalizione montiana (composta anche da Casini e Fini), si arriva a 13,5: ne risulta che 6,5 milioni italiani d’area moderata e centrista si sono politicamente distaccati dal loro mondo politico di riferimento.
E veniamo alle europee. In quelle del 2009, il Pdl (nato ufficialmente nel marzo di quell’anno) risultò il partito più votato con 10.797.296 voti (35,26%). La Lega di Bossi ne ottenne 3.126.181 (10,21%). Considerando il risultato ottenuto dall’Udc di Casini (quasi due milioni), il fronte cosiddetto moderato poteva contare su poco meno di sedici milioni di suffragi. In quelle del 2014 – che hanno visto contrarsi la percentuale dei votanti: dal 65% al 57% – Forza Italia ha invece ottenuto poco più di 4 milioni e mezzo di suffragi (il 16,8%), l’Ncd-Udc di Alfano e Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale si sono attestati intorno al milione di voti, mentre la Lega ha superato di poco il milione e mezzo. Sommando tutti i partiti che un tempo componevano il centrodestra si arriva a 8 milioni e mezzo di voti, quasi la metà rispetto al 2009 (e 1 milione e mezzo in meno rispetto alle politiche del 2013).
LA RABBIA
Si possono ovviamente trovare molti argomenti o scusanti per spiegare una simile perdita di consensi: l’accanimento della magistratura e degli avversari politici contro il Cavaliere, l’esistenza di trame occulte interne e internazionali contro quest’ultimo, la rabbia crescente dei cittadini (causata dalla crisi economica e dagli scandali) che ha fatto crescere a dismisura l’astensionismo e il voto di protesta. Ma l’impressione è che un ciclo storico, di cui Berlusconi è stato senza dubbio il protagonista, si sia concluso senza che i diretti interessati vogliano prenderne atto. In questi anni si sono realizzate trasformazioni nella società e nel sentimento collettivo che il centrodestra non ha saputo né prevedere né intercettare.
E sono nate sfide politiche – basti pensare al modo con cui Renzi ha trasfigurato l’identità della sinistra italiana – dinnanzi alle quali esso si è dimostrato incapaci di reagire, offrendo così al proprio elettorato, già deluso dalle non brillanti prove offerte negli anni passati al governo, una sensazione d’immobilismo e stanchezza.
LA PROSPETTIVA
Si parla in questi giorni di riunificare il centrodestra nella prospettiva dei prossimi appuntamenti elettorali: ma con la Lega che si è allineata a Marine Le Pen, con Alfano che sostiene l’esecutivo di Renzi e con Berlusconi che ha perso la sua capacità aggregatrice e lotta solo per sopravvivere, riesce difficile capire chi possa riuscire nel miracolo e soprattutto quale progetto politico possa nascere dalla riunione forzata tra gli alleati di un tempo.
LA SELEZIONE
Alcuni esponenti di Forza Italia, per bloccare definitivamente qualunque ipotesi di successione dinastica, si sono invece spinti sino a invocare le primarie come strumento di selezione dei gruppi dirigenti e della stessa guida del loro movimento: dopo averle dileggiate si sono resi conto di quanto esse siano servite alla sinistra per rigenerarsi dal basso, negli uomini e nelle idee. Ma chiedere le primarie e al tempo stesso dichiarare vigente, anzi indiscutibile, la leadership di Berlusconi è davvero una contraddizione logico-politica: l’avvicendamento al comando di un partito – come insegna proprio l’esperienza di Renzi – difficilmente può avvenire in modo indolore o senza combattere a viso aperto.
IL PURGATORIO
Per i moderati italiani (che forse dovranno cambiare anche nome, visto che agli occhi di molto elettorato il moderatismo è ormai meglio interpretato dal Pd renziano) si profila un lungo purgatorio politico. Resta solo da capire a che punto dovrà giungere il declino nei consensi prima che ci si decida a passare la mano, a cambiare le facce e a invertire la rotta.