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 2014  maggio 29 Giovedì calendario

DONETSK, LA GUERRA SPORCA DEI VOLONTARI SENZA NOME «OBBEDISCONO A MOSCA»


DAL NOSTRO INVIATO DONETSK — È una guerra sporca, confusa, sfuggente, questa di Donetsk. La giornata sembra scorrere nella calma apparente, ma poi verso sera arriva la notizia che allarma, mentre riprende il rombo dei mig ucraini in un cielo di nuvole cupe. Undici osservatori dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea), sono stati fermati a un posto di blocco dei filorussi mentre uscivano da Donetsk in direzione Dnipropetrosk. Tra loro c’è anche una donna italiana. I separatisti li hanno riportati indietro, come confermano l’Osce e la Farnesina. «Li abbiamo raggiunti telefonicamente e sembra che siano tutti in buone condizioni», ha riferito la portavoce dell’organizzazione internazionale. Ma ancora non è chiaro se potranno ripartire. Due giorni fa altri quattro inviati, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa Interfax , sarebbero stati «arrestati» dai filorussi, che ieri, però, hanno smentito. Confermato, invece, il sequestro del prete polacco Pavel Witek che sarebbe tenuto in custodia nel palazzo dei servizi segreti occupato dai separatisti.
Intanto all’obitorio Kalinin continuano ad arrivare le vittime della battaglia di lunedì per la conquista dell’aeroporto. Il sindaco della città Oleksandr Lukyanchenko aggiorna l’ultima cifra comunicata martedì pomeriggio dal medico legale Sergej Chochulja. Per ora i morti sono 40, di cui due civili. I colpi di mortaio dell’esercito avrebbero ucciso anche miliziani ceceni. Il battaglione Vostok composto da almeno 500-600 combattenti sarebbe l’avanguardia di questa specie di legione straniera ben equipaggiata e super addestrata. Nelle ultime ore si sono moltiplicati i video su Twitter e su YouTube che mostrano in azione militari indubbiamente professionisti, ma di incerta provenienza. Il coordinatore delle forze antiterrorismo di Kiev, Dmytro Tymchuk sostiene che «tra le persone uccise negli ultimi tre giorni nell’area delle operazioni antiterrorismo, oltre a cittadini ucraini, ci sono serbi e russi provenienti dall’Inguscezia, dalla Cecenia, dal Daghestan e cittadini dell’Abkhazia». Sono tutti territori controllati o condizionati, direttamente o indirettamente, da Mosca. Fin dall’operazione Crimea, il sospetto è che il Cremlino abbia commissionato una guerra per procura a milizie formalmente indipendenti. I leader di Donetsk non negano quella che ormai appare un’evidenza.
Già qualche giorno fa uno di loro, Denis Pushilin, aveva rivendicato la presenza di «volontari stranieri» accorsi per sostenere la lotta contro «i fascisti di Kiev», con un riferimento addirittura alla guerra civile spagnola. «C’è anche un tedesco con noi», aveva concluso Pushilin, come per dire: di che vi stupite se ci sono i ceceni? Ma il punto, naturalmente, è la regia della Russia. Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergej Lavrov sembrano ora puntare sul dialogo con il neo presidente Petro Poroshenko. Prima da Mosca hanno fatto sapere di «non aver ricevuto» alcuna richiesta di intervento militare da parte dei separatisti di Donetsk. Poi il presidente ceceno Ramzan Kadyrov ha «smentito ufficialmente l’invio di unità militari nel battaglione Vostok a Donetsk». Salvo precisare che «se qualche ceceno si trova nell’area del conflitto sono affari suoi. Noi siamo tre milioni».
L’ambiguità è la cifra di questo conflitto, in cui convivono trame diplomatiche di alto livello (Poroshenko, pare, incontrerà Putin il 6 giugno in Normandia) e istinti irrazionali. Una prova? Basta riprendere nel pomeriggio la strada, deserta, per l’aeroporto. Un’auto della polizia lascia passare solo le marscrutka della linea 25, piccoli bus gialli, sporchi, consunti, sempre pieni di gente. In fondo al viale si fa incontro un signore con una cartucciera a tracolla. Dietro di lui quindici, forse venti uomini distribuiti su una barricata larga una cinquantina di metri. Jeans, camicie a scacchi, giovani e anziani: sembrano appena usciti di casa, se non fosse per l’elmetto verde. Sono armati con fucili da caccia. Quello che sembra il capo del gruppetto accetta di scambiare qualche parola, ma si interrompe di continuo per rimandare indietro le persone che vorrebbero passare. Sgrida duramente una giovane signora con un bambino in braccio. «È molto pericoloso, ci aspettiamo un attacco da un momento all’altro dalla guardia nazionale, dall’esercito, non so. Duecento metri più in là ci sono i cecchini che sparano». Si chiama Alexander, ha 51 anni, è un minatore. «Abito qui e vogliamo difendere le nostre case» e mostra una fila di costruzioni a un piano tutte uguali. Lui e i suoi compagni hanno gettato sul selciato anche rami spezzati dai pioppi e dai tigli che fiancheggiano il viale Kievsky. Difesa fai da te. Barricate con le frasche, doppiette e qualche bastone, contro gli elicotteri, i caccia, i mortai dei soldati del nuovo corso ucraino.