Ilaria Morani, La Gazzetta dello Sport 29/5/2014, 29 maggio 2014
BOMBE E KALASHNIKOV SOSTITUISCONO LO SPORT
Alle 9 di sera fa caldo a Donetsk e le finestre sono aperte. Prima l’odore e poi un fumo denso entrano a poco a poco nell’appartamento a qualche centinaia di metri da piazza Lenin. Solo mezz’ora fa si è sentito un forte boato seguito dal suono delle ambulanze e alle 10 di sera inizia il coprifuoco.
In una città che ha dichiarato guerra al proprio Paese lo sport è l’ultimo pensiero. Ma per alcuni non è altro che un piccolo appiglio che riporta alla normalità. Nel chiuso di una palestra, di una piscina ogni giorno sembra lo stesso. Stessi spalti, stessi spogliatoi, stesso odore di sudore. Solo che ora in tanti hanno paura, nemmeno escono di casa, e gli impianti sportivi sono serrati. Sulla porta dello Spartak c’è un cartello enorme con scritto «Chiuso». Nessun orario né data di apertura. Il guardiano che siede lì fuori con una sigaretta in bocca spiega che lui sta lì perché non sa dove andare, ma non crede che il centro riaprirà a breve. L’edificio sta proprio alle spalle del vecchio stadio di calcio, l’Olimpiyskiy, e a quello nuovo, il Dombas Arena, fatto costruire dall’oligarca Rinat Akhmetov, proprietario anche dello Shakhtar Donetsk, la squadra di calcio più forte del Paese. Nel team hanno giocato anche Carlo Nicolini e Massimo Ugolini, i bresciani del Dombass, fedeli all’allenatore Micea Lucescu. Tutti ora chiusi in casa, chi in Ucraina chi in Italia, ad aspettare cosa succederà nel prossimo campionato.
I campi da tennis nel quartiere dove si concentrano gli impianti sportivi sembrano abbandonati da anni, la pista da atletica pure. Lo stadio è deserto, solo il bar ha la saracinesca alzata, ma di clienti non se ne vedono. Un altro campo di atletica con spalti di cemento sorge proprio ai piedi della salita che porta all’aeroporto. Nessuno lì intorno, i palazzi sono stati evacuati perché a poche centinaia di metri si combatte a suon di mortai e raffiche di kalashnikov. Solo un uomo, a piedi nudi corre e chi passa per la strada lo fotografa. E’ una strana figura a cui gli abitanti della zona si attaccano: «Ogni giorno corre, e non si è fermato nemmeno quando la guerra si è fatta più seria. Nessuno lo conosce, ma ci piace guardarlo mentre saltella intorno al prato».
La battaglia di Donetsk è riuscita a entrare persino nel palazzetto dello sport costruito 60 anni fa e rimasto intatto come in una cartolina che ritrae i campioni di anelli dell’Unione Sovietica. Forse solo gli attrezzi da palestra sono cambiati, più moderni, ma per il resto è rimasto tutto cristallizzato a quegli anni. All’ingresso le foto dei grandi: Bubka prima di tutti. I migliori da piccoli sono allenati nel centro della capitale dell’Ucraina dell’Est per poi prendere il volo verso Kiev, poi l’Europa e poi il mondo con i Giochi Olimpici. Ma ora la pedana è vuota, alla sbarra nessuno, appesi agli anelli due bambini. Solo una ragazza, Irina Russkih si allena per gli Europei con il coach Anatolij Nesterenko: «Di solito il nostro gruppo è formato da 30 ragazzi, ma oggi c’è solo Irina. Da una parte lei trova più concentrazione con il silenzio, ma dall’altra sono preoccupato. Che fine avranno fatto tutti?». Sottovoce un allenatore di boxe spiega che la guerra paga bene e in tanti si sono arruolati: «Hanno il fisico adatto, e c’è la possibilità di fare qualche soldo vestendo la tuta mimetica». Il simbolo dello sport macchiato dalla guerra è diventata l’arena dell’Amicizia (Druzhba in russo), il palazzetto di hockey ghiaccio dove si dovrebbero disputare i Mondiali di Prima Divisione del 2015, con l’Italia impegnata. Due giorni fa è stato distrutto da un incendio, «per vendetta», dicono alcuni del settore sportivo, da parte di una squadriglia di miliziani filorussi. In questa arena solitamente gioca il Donbass, una squadra locale il cui presidente Boris Kolesnikov è molto vicino a Akhmetov, ormai nemico dei separatisti perché ha chiesto la fine degli scontri. La sua tifoseria è inoltre legata a doppio nodo con quella dello Shakhtar Donetsk, divisa, ora, sui due fronti della guerra. In un Paese devastato da un conflitto intestino. In una città che ha dichiarato guerra al proprio Paese, lo sport è l’ultimo pensiero.