Alessandro De Nicola, la Repubblica 28/5/2014, 28 maggio 2014
LE DUE LEZIONI DEL CASO UBER
Nella ormai famosa vicenda Uber torti e ragioni, privilegi e diritti, si intersecano in un modo che rende problematica qualsiasi soluzione. I fatti principali sono noti: Uber, azienda multinazionale partecipata anche da Google, ha sviluppato una applicazione che permette di prenotare un’ auto a noleggio anche con scarso preavviso. La centrale operativa riceve la richiesta dal cliente, la diffonde agli autisti in circolazione e chi è in grado di meglio soddisfarla lo segnala. Le auto sono tutte di ottima qualità, si paga direttamente con addebito sulla carta di credito che si registra sul sito, il prezzo è in media superiore del 20% a quello dei taxi ma i consumatori sembrano non curarsene e aumentano costantemente. Soprattutto per i viaggiatori internazionali, avere un’unica compagnia che assicura il servizio in diverse città con gli stessi standard e modalità risulta molto attraente.
Qui scatta la rivolta dei tassisti, che accusano Uber di concorrenza sleale in quanto, secondo loro, la normativa imporrebbe alle compagnie di auto a noleggio di non occupare pubblici spazi (quindi impossibilità di sosta), avere tariffe prefissate (invece grazie al Gps si ha istantaneamente il calcolo del prezzo del trasporto) e soprattutto passare per l’autorimessa alla conclusione di ogni viaggio e attendere colà il cliente. Peggio ancora è stata giudicata l’app Uberpop, che permette una sorta di servizio svolto da privati cittadini che danno la disponibilità della propria vettura e si improvvisano tassisti on-demand.
Il Tar Lombardia ha dato però torto sia ai tassisti che al Comune di Milano, il quale, con una delibera dell’anno scorso, aveva cercato di ricondurre l’attività di Uber entro l’interpretazione rigida della normativa, ribadendo il divieto per chi aveva una licenza «fuori porta» ed era sprovvisto di rimessa all’interno della città di procurarsi il cliente entro i confini del capoluogo lombardo. I giudici amministrativi, infatti, hanno considerato che apparivano dubbi sul piano costituzionale e comunitario sia il divieto per i vettori con autorizzazione rilasciata da altri comuni di procurarsi un servizio da svolgere nel territorio comunale sia l’obbligo che il servizio debba essere effettuato con partenza dal territorio del Comune che ha rilasciato la licenza.
In più il Tar esprimeva a chiare lettere l’opinione che sia irrazionale alla luce del progresso della tecnica che, dopo la conclusione di una corsa, il conducente, ricevuta immediatamente dopo in via telematica altra richiesta, debba necessariamente fare ritorno alla propria rimessa anziché raggiungere direttamente il cliente in attesa, fermo restando il divieto di stazionamento sulle aree pubbliche.
Dopo le ultime agitazioni, durante le quali ci sono state minacce e violenze e interruzioni di un pubblico servizio totalmente inaccettabili, il ministro Lupi e il governatore Maroni hanno un po’ stabilito l’ovvio e cioè che la legge va rispettata (ci mancherebbe) e in particolare non è possibile a ciascun cittadino di improvvisarsi tassista senza alcuna licenza o autorizzazione (cosa ragionevole, in quanto è bene che le persone cui affidiamo le nostre vite facendoci trasportare in auto possiedano alcuni requisiti di capacità e sanità mentale).
Sulla questione cruciale decisa dal Tar, invece, silenzio e farfugliamenti e non poteva essere che così in attesa di una legge più chiara.
Perché qui le scelte sono drammatiche? Perché non si può ignorare il disagio dei conducenti di taxi che magari si sono comprati la licenza per 200.000 euro e oggi tra la crisi economica e la caduta delle barriere all’entrata vedono ridursi i loro guadagni ed il valore stesso della licenza che finora serviva loro come una sorta di Tfr. D’altra parte non è ammissibile né arrestare il progresso tecnologico, né soffocare la concorrenza e l’efficienza soprattutto in un momento in cui il paese é attraversato da una profonda crisi economica.
La lezione é duplice. Quando l’Autorità Antitrust propose non molto tempo fa una soluzione ragionevole, vale a dire regalare una licenza in più a tutti gli attuali possessori che poi avrebbero potuto monetizzarla vendendola a un nuovo entrante, la categoria si oppose ferocemente: era più comoda l’esclusiva. L’arrocco, però, nel mondo globale funziona sempre meno: i consumatori sono più consapevoli e la tecnologia è impossibile da fermare. É necessario adattarsi in tempo e competere.
La seconda lezione é che non è più accettabile la politica del rinvio e dello struzzo, fatta di norme incomprensibili, che rimandano a decreti da attuare e non decidono un percorso serio e, quando lo abbozzano, si assiste poi a una precipitosa ritirata al primo strepito dei parlamentari che rappresentano le lobby. La politica dovrebbe stare fuori dall’economia ed adempiere la sua funzione più nobile cercando soluzioni che aumentino la libertà di scelta, l’innovazione e il benessere generale, dando il tempo sufficiente a chi ha posizioni di rendita di adattarsi al cambiamento. In Italia questo non succede mai, anche se Renzi ha detto di trovare Uber «straordinaria». Staremo a vedere.
Twitter @ aledenicola
Alessandro De Nicola, la Repubblica 28/5/2014