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 2014  maggio 28 Mercoledì calendario

TURISMO E TANK IL GENERALE DEI RESORT “BLINDA” LE URNE


IL CAIRO
Nessuno dubita che, alla fine, sarà l’ex capo delle Forze armate e ministro della Difesa, Abdel Fattah al Sisi a governare l’Egitto nei prossimi otto anni. Ma la legittimazione dell’intero processo elettorale, oltre che la credibilità del candidato favorito, sono stati pesantemente messi in discussione dalla decisione della Commissione elettorale centrale di prolungare di un giorno le operazioni di voto, che avrebbero dovuto concludersi ieri. Un rinvio dovuto alla scarsa affluenza alle urne, unico dato incerto in un trionfo altrimenti annunciato e, al tempo stesso, un utile metro di giudizio per misurare quanto abbia effettivamente inciso l’ordine di boicottare le urne impartito dalla Fratellanza Musulmana ai suoi seguaci. Evidentemente ha inciso.
Se la ridotta partecipazione è, come sembra, la causa principale del rinvio (ma fino a tarda sera non sono stati comunicati i dati parziali dell’affluenza) va detto che si tratta di un successo del fronte del boicottaggio: Fratelli musulmani, in testa, cui negli ultimi giorni si sono aggiunti alcuni gruppi laici e liberali, come i giovani del Movimento 6 Aprile, politicamente nati e cresciuti con la rivoluzione del gennaio 2011, i quali si sono visti investiti da un’ondata repressiva con arresti, processi e condanne per reati spesso minori, che ne hanno assai limitato la libertà d’espressione e l’iniziativa politica.
In mancanza di dati ufficiali, tuttavia, quello che abbiamo visto nei seggi elettorali di diversi quartieri, sembra suggerire un bassissimo grado di partecipazione ed un alto livello di militarizzazione del voto. Mai gente in coda in attesa di voltare, come invece succedeva nel 2012. Rarissimi i gruppi di donne festanti a scandire il nome del candidato favorito. Quello che salta agli occhi, invece, è lo schieramento a difesa dei seggi, con truppe speciali in divisa nera, armati di tutto punto e dal volto coperto, blindati, postazioni.
Eppure, a giudicare dalla propaganda elettorale lanciata dalla totalità dei media di stato e dalla gran parte dei privati, per il nuovo “uomo forte” dell’Egitto destinato a ricalcare il percorso di altri rais venuti dai ranghi delle Forze armate, come Nasser, Sadat e Mubarak, doveva essere una passeggiata. Non fosse altro che per la mancanza di concorrenti, essendo l’altro candidato in lizza, l’esponente della sinistra nasseriana, Hamdin Sabahi, non un’alternativa ma una foglia di fico utilizzata per legittimare un processo elettorale a senso unico. Senza i Fratelli musulmani in campo, perché costretti alla clandestinità o sbattuti a migliaia in galera, e senza i giovani del Movimento 6 aprile a proteggere i valori permanenti della rivoluzione che fu, la campagna elettorale s’è trasformata in una sorta di culto della personalità. La faccia tonda e timidamente sorridente dell’ex generale dominava in ogni angolo del Cairo, sulle vetrine dei negozi, sui viadotti, sulle piazze, e sulle bancarelle di Piazza Tahrir ormai diventata la muta, vuota testimonianza di una stagione politica conclusa. Da ultimo, i manifesti di al Sisi, sono comparsi anche nei resort di Sharm el Sheik, ad indicare che questo è l’uomo che permetterà al paese di risorgere e ai turisti di tornare.
Ma questo messaggio non è stato percepito da tutti. Girando per la capitale, tra i luoghi che hanno segnato lo scontro sanguinoso che nell’estate del 2013 ha visto al Sisi imporre la defenestrazione di Morsi e la messa fuorilegge dei Fratelli Musulmani, si capisce che i nemici del generale non sono ancora domi. Su molti ritratti e manifesti di al Sisi sono state scagliate bottiglie di vernice rosso sangue accompagnate da scritte insultanti: C. C. (che sta per Sisi) “assassino”, “Caino”, “killer”, qualche volta anche in inglese. Ma non per tutti è così. Nei seggi del quartiere cristiano di Shofra, ho chiesto ad un elettore perché avesse votato al Sisi: «Perché è l’uomo giusto per questo momento», ha risposto Samir Sawiras, 62 anni, carrozziere, mostrando la croce copta tatuata all’interno del polso. «Meglio rinunciare ad un po’ di libertà che un governo coi Fratelli musulmani», ha concluso. Un ritornello. In un moderno edificio di Giza, ho incontrato uno degli sponsor di al Sisi, l’imprenditore Hosni Redah, proprietario di alberghi e agenzie turistiche al Cairo e a Sharm el Sheik. Hosni ha messo a disposizione del futuro nuovo Rais due grandi appartamenti nel suo palazzo, perché funzionassero da centrale elettorale. «L’Egitto cambierà immediatamente, dal primo giorno dopo le elezioni. Mi creda, dopo quello che abbiamo visto con Morsi, al Sisi è una benedizione».
Ma tutto questo, evidentemente non è bastato, quanto meno a conseguire una vittoria entro i tempi regolamentari. Non è servito proclamare martedì, seconda e conclusiva giornata elettorale, festa nazionale per liberare i dipendenti statali dalle incombenze del lavoro. Non è servito garantire trasporti gratuiti per gli elettori. E non sono servite le minacce lanciate via sms per ricordare ai cittadni che non votare può comportare una multa di 500 lire egiziane, quasi ottanta dollari. Un’enormità per un paese ridotto alla fame.

Alberto Stabile, la Repubblica 28/5/2014