Nicola Lombardozzi, la Repubblica 28/5/2014, 28 maggio 2014
NELLE STRADE DI DONETSK SI COMBATTE FRA I CIVILI I RIBELLI: “PIÙ DI 100 MORTI”
DONETSK
Ci puoi finire dentro anche solo attraversando una tranquilla strada di borgata come il Partizanskij Prospekt. Tra ragazze in pantaloncini e anziane signore con la borsa della spesa, compaiono dal niente quattro tipi incappucciati e armati di mitra che corrono con la schiena piegata in avanti. Qualcuno, da qualche parte, sta sparando su di loro. Uno cade a terra e ci resta, gli altri si rifugiano dietro a una vecchia utilitaria parcheggiata davanti al supermercato e tirano fuori qualcosa che assomiglia a un lanciagranate. E si scappa, senza sapere bene dove, senza voltarsi indietro ad ogni esplosione, senza chiedersi chi siano i buoni e chi i cattivi. Se mai c’è stato spirito di parte tra la gente comune di Donetsk, adesso c’è solo terrore.
Comprensibile visto che miliziani russi d’Ucraina e esercito regolare stanno ormai combattendo da due giorni la loro guerra proprio fra la gente. Per le strade, nelle scuole, nei giardini pubblici dove incredibilmente squadre di giardinieri continuano a curare le aiuole e a pulire i vialetti come niente fosse. Gli ucraini mirano al cuore della città, all’inizio di questa storia, al palazzo della Regione occupato dai russi e sede della repubblica autoproclamata. La guerriglia urbana per riconquistare quella sede è assolutamente inevitabile. La gente lo sa e ha paura. Il coprifuoco decretato in serata è già stato spontaneamente applicato volontariamente. Chiusi i negozi, anticipata bruscamente la fine dell’anno scolastico, deserti banche e uffici, ridotte al minimo le corse dei mezzi pubblici. Da Kiev l’esercito del neoeletto presidente Poroshenko lancia un ultimatum: «Arrendetevi o morirete tutti ». I separatisti non rispondono neanche e continuano a invocare inascoltati un intervento militare di Mosca. Un appello che scatena pericolose azioni di volontari nazionalisti. Dal Caucaso e dalla terra dei cosacchi sarebbero già arrivate centinaia di squadre paramilitari decise a «soccorrere i fratelli del Donbass». Camion privati carichi di armi, munizioni e rifornimenti avrebbero già varcato più volte il confine.
Impossibile valutare i bilanci delle vittime denunciati da una parte e dall’altra ma la cifra di cento morti che ieri ha fatto subito il giro dei media internazionali diventa tragicamente verosimile quando entri all’obitorio dell’ospedale Kalinin, nel cuore del centro cittadino. Il sangue è dappertutto come se qualcuno lo avesse lanciato a secchiate per aria, e i cadaveri stanno ovunque, nei corridoi, sul tavolo del ripostiglio cucina degli infermieri dove qualcuno trova il coraggio di prendersi un tè, e in un’orrida catasta di brandelli di corpi intrecciati e irriconoscibili. Con l’aria e sconvolta una biondona in camice prova combattere la disperazione con il cinismo: «Quanti morti? Forse, alla fine, potrò dirvi al massimo quanti pezzi di morti».
Sono i resti dei combattimenti più feroci, all’alba di ieri sul ponte Putilovskij. Ci sono molti indumenti militari ma anche jeans, scarpe da passeggio, portachiavi, telecomandi di automobile. C’erano molti civili da quelle parti mentre si sparava. La confusa polizia locale, divisa tra solidarietà con i russi e dipendenza dal comando nazionale, non è in grado di dare risposte a decine di famiglie disperate che chiedono notizie di loro parenti scomparsi.
E chi può dire quanti vittime ci siano all’interno e tra i campi dell’aeroporto Sergej Prokofiev, attaccato ieri per la seconda volta da elicotteri armati accompagnati da caccia a volo radente? L’esercito ucraino sostiene di averlo «liberato». Se è vero, i militari sono comunque circondati da miliziani russi che hanno ricevuto rinforzi da colonne di camion arrivati dall’altra repubblica filorussa autoproclamata di Lugansk. Di ripresa dei voli non se ne parla. Lanci di razzi e raffiche di mitra sono ormai una ininterrotta colonna sonora che turba i sonni degli abitanti del vicinissimo quartiere 16.
Stesse scene alla stazione ferroviaria dove ieri è stato ucciso un bambino, un parcheggiatore e un’altra decina di combattenti. I treni provano a partire ugualmente ma ci vuole molto coraggio per provarci. Vanno anche piano visto che nella notte qualcuno ha fatto esplodere i binari a pochi chilometri da qui.
E l’offensiva di Kiev non sembra fermarsi. Il presidente Poroshenko continua a parlare di «situazione che sarà normalizzata nelle prossime ore». Ha fretta di cominciare a trattare da un punto di forza con Mosca, forse spera nella resa dei miliziani meno oltranzisti, più controllabili dal Cremlino. Ma non è così semplice. Dopo un giorno di misterioso silenzio, dedicato ai festeggiamenti del campionato mondiale di hockey vinto dalla nazionale russa, Putin ha finalmente parlato dicendo al telefono al premier italiano Matteo Renzi che «Kiev deve fermare immediatamente il massacro». Lo ha fatto nel porgere le condoglianze ufficiali all’Italia per la morte del fotografo Andrea Rocchella ucciso sabato a Sloviansk durante un combattimento e la cui salma è finalmente in viaggio verso Kiev dove l’attendono i familiari.
Difficile capire quale sia la strategia di Putin. Appare a tutti singolare, e un segno di possibile speranza, che nel pieno della guerra e in un contesto di insulti e minacce reciproche, la Russia continui a trattare per un possibile sconto sul gas nei confronti dell’Ucraina e che, al di là di certe sparate di maniera, non escluda futuri contatti anche solo telefonici tra i due presidenti. C’è veramente una voglia di mediazione? Se c’è, dovrà fare i conti con i più scatenati separatisti russi che non intendono arrendersi. Quelli che ieri hanno incendiato il palazzo dello sport sede della amatissima squadra di hockey Donbass e che stanno piazzando trincee e posti di blocco in ogni angolo strategico della città. Ma dovrà anche affrontare la furia degli estremisti di destra che a Kiev corrono ad arruolarsi nella Guarda Nazionale Ucraina per partecipare “legalmente” al massacro.
A Donetsk comunque non c’è tempo per perdersi in sottigliezze politiche. In attesa che qualcosa succeda, ci si rintana in casa, si dice ai bimbi di non affacciarsi alle finestre, si continua a sobbalzare ad ogni rumore. Si guarda in tv il volto pacioso del nuovo presidente che continua a ripetere: «La Pace sta per arrivare».
Nicola Lombardozzi, la Repubblica 28/5/2014