Francesco Manacorda, La Stampa 28/5/2014, 28 maggio 2014
“SU UNIPOL NIENTE FAVORITISMI CONSOB HA SEGUITO LE REGOLE”
[Intervista a Giuseppe Vegas] –
Presidente Vegas, lei non è indagato ma alcune testimonianze nell’inchiesta Unipol-Fonsai sostengono che da numero uno della Consob avrebbe gestito in modo irrituale e personalistico il dossier della fusione. Avrebbe agevolato Unipol nel suo acquisto di Fonsai glissando sulla possibilità che Unipol avesse in portafoglio titoli strutturati assai sopravvalutati. Che cosa replica?
«E’ una situazione paradossale. Più che altro dal punto di vista mediatico, perché da quello giudiziario l’accusa è rivolta a Unipol. Vedo, però, notizie disordinate che mirano a sviare l’attenzione».
Eppure la Finanza ha copiato decine di hard disk dei vostri computer...
«Sono state fatte richieste di documenti alla Consob, che come sempre collabora fattivamente con l’autorità giudiziaria. Con la Procura di Milano abbiamo del resto un protocollo di collaborazione e siamo sicuri che faranno egregiamente il loro lavoro».
Nelle testimonianze citate dai Pm c’è quella di Marcello Minenna, dirigente dell’ufficio Analisi quantitative Consob: sostiene in primo luogo che il mandato ricevuto dal direttore generale della commissione sull’esame dei titoli strutturati Unipol «presentava caratteristiche che ne inficiavano l’efficacia» e che non è stata considerata la sua proposta di tagliare il valore degli strutturati «tra i 592 e i 647 milioni di euro».
«Non c’era nessun obbligo che questa verifica la facesse l’ufficio Analisi quantitative. Il lavoro è compito della divisione Emittenti guidata da Angelo Apponi».
Allora perché affidarla pure a quell’ufficio?
«Perché vista la delicatezza della questione, abbiamo voluto fare un esame più approfondito con il supporto dell’ufficio analisi quantitative nonostante la personalità particolare di Minenna, che, a fronte di divergenze interne, si era spesso rivolto all’esterno – e ora, come vediamo, anche alla magistratura . Ovviamente gli fu data piena autonomia anche nei tempi. Sarebbe stato meglio finire prima. Ma sta di fatto che quell’ufficio ci mise circa un anno a verificare tutti i titoli».
Ma Minenna contesta anche la richiesta di un esame completo di tutti i 358 titoli in portafoglio a Unipol. Perché non un esame a campione?
«Vista la delicatezza della questione solo un esame completo poteva garantire l’affidabilità dei risultati».
Dagli atti risulta che secondo l’ex commissario Michele Pezzinga la Commissione non sapeva nulla delle richieste avanzate dalla Procura di Milano fin dal luglio 2012 proprio sulla valutazione di quei titoli strutturati. È così?
«No. La Commissione è stata informata. Lo documenta il verbale della seduta dell’11 luglio 2012. Se Pezzinga dicesse il contrario direbbe il falso».
Secondo Pezzinga la nota tecnica del 4 novembre 2013 che conteneva le opposte valutazioni di Minenna e Apponi sul valore effettivo degli strutturati Unipol arrivò al collegio solo il 13 dicembre. E’ così? Lo ritiene tempo normale?
«Non è così. A parte il fatto che dopo le svalutazioni decise autonomamente da Unipol la divergenza delle due valutazioni ammontava a un valore risibile, ossia circa 30 milioni su sette miliardi di valore, quella nota arrivò all’attenzione della Commissione la prima volta proprio il 4 novembre e se ne parlò collegialmente. Poi fu rimandata dalla Commissione agli uffici per alcuni approfondimenti chiesti da un commissario. Il 13 dicembre la decisione finale, con le note integrative chieste, arrivò in Commissione e fu approvata»
Ossia in pratica in uno degli ultimi giorni in carica del commissario Pezzinga...
«Guardi che si accelerò la conclusione proprio per dar modo a Pezzinga di esprimersi prima che lasciasse».
L’operazione passò solo con il suo voto favorevole, che contava il doppio visto che è il presidente. Questa divisione non avrebbe dovuto consigliarle maggiore prudenza?
«Il principio del voto del presidente che vale doppio in caso di parità è previsto dalla legge per tutte le autorità a garanzia della loro funzionalità. Dunque chi si astiene sa benissimo che la sua astensione significa far passare il provvedimento. Se non vuole che passi basta votare contro».
Il 27 gennaio 2012, lei incontrò l’ad di Mediobanca Alberto Nagel, regista della fusione, ben prima che arrivasse non solo l’offerta della compagnia bolognese, ma anche il quesito alla Consob. Perché?
«Incontrai qui in Consob Nagel, come incontrai altri in quel periodo. Un’Authority deve fare anche moral suasion. È ovvio che io senta tutti se si profilano dei problemi. Se lei fa il poliziotto e vede qualcuno passare col rosso lo ferma subito o lo lascia passare, per poi multarlo? Io direi che interviene subito. Fuor di metafora: Nagel venne con la proposta di concedere una buonuscita ai Ligresti. Io mi limitai a dire che in quel caso si sarebbe dovuti ricorrere a un’Opa da parte di Unipol, perché voleva dire che c’erano risorse per pagare i Ligresti. Il risultato fu che non ci fu una buonuscita ai Ligresti che, anche in seguito a questi fatti, vennero estromessi dalle compagnia e si procedette all’operazione che conosciamo».
Senza Opa. I suoi critici la accusano proprio di aver aiutato Unipol a dribblare preventivamente l’Offerta pubblica...
«Io non ho mai detto che non si doveva fare l’Opa, ma semplicemente che se c’erano risorse da distribuire, non ci sarebbe stata l’esenzione da salvataggio. Qualunque ufficio pubblico è tenuto a dare informazioni, restando ovviamente imparziale».
Lei lo ha fatto anche in passato con altri soggetti?
«È la prassi».
La vicenda non è conclusa, ma ritiene che la Consob e il mercato abbiano sempre ricevuto una fedele rappresentazione della situazione di Unipol?
«La magistratura sta indagando. Io posso dirle solo che il nostro compito è che il mercato abbia la maggiore informazione possibile. La questione dei titoli strutturati era stata sollevata e proprio per questo abbiamo fatto un lavoro straordinario. Ma la materia è molto complessa e non c’è una soluzione tecnica univoca».
Alla fine però resta in molti il dubbio che la sua posizione abbia di fatto favorito l’operazione «di sistema» Unipol-Fonsai in cui venivano anche garantiti i crediti delle banche - Mediobanca in primis - verso la compagnia dei Ligresti...
«La Consob ha il compito di rendere il mercato trasparente, ma anche di assicurare che il mercato ci sia. La vigilanza è importantissima, ma il fine ultimo di questa Authority, come delle altre, è far sì che ci sia un po’ di sviluppo nel Paese. Io non direi che c’è stata una difesa di sistema, intesa come interessi consolidati di alcune imprese; tanto è vero che l’attività di Consob sta contribuendo a scardinare il cosiddetto salotto buono. Al contrario, abbiamo difeso gli interessi dei risparmiatori, e se vuole anche degli assicurati e dei dipendenti delle compagnie».
Lei scade nel 2018. È stato parlamentare di Forza Italia ed ha avuto incarichi di governo. Dopo le polemiche di questi giorni ha pensato alle dimissioni?
«Domanda simpatica. Ma gliene faccio io una: come mai, con addosso la lettera scarlatta di chi è stato in un governo Berlusconi, a dire dei miei detrattori ho difeso proprio quella Unipol che era la cassaforte dell’ex Pci? Forse quello di cui sono accusato è di aver fatto l’interesse del mercato e dei risparmiatori, che non mi pare abbiano oggi ragione di essere delusi, viste le attuali quotazioni dei titoli post-fusione».
E le dimissioni?
«E perché mai dovrei dimettermi? Perché vengo attaccato da un ex commissario e da un dipendente? Chi dovrebbe dimettersi è magari qualche dipendente che secondo me non sempre lavora nell’interesse della Consob».
Francesco Manacorda, La Stampa 28/5/2014