Elisabetta Gualmini, La Stampa 28/5/2014, 28 maggio 2014
RENZI NON SFONDA NEL CENTRODESTRA MA “PROSCIUGA” SCELTA CIVICA
A differenza di quanto si è potuto pensare all’indomani della sua trionfale vittoria, Renzi non ha sfondato nel popolo «delle libertà». Non è il Berlusconi di sinistra votato dalla destra, né il colonizzatore della prateria dei moderati. L’analisi dei flussi elettorali, degli spostamenti di voto dalle politiche del 2013 alle europee del 2014, mostra come la frattura destra-sinistra continui a strutturare i comportamenti politici degli italiani.
E come la speranza di arrivare prima o poi a una «normale» democrazia dell’alternanza, in cui due grandi partiti si confrontano l’uno con l’altro, non sia un sogno.
Lo dicono tre indizi ricavabili dall’indagine che l’Istituto Cattaneo ha svolto, sotto la direzione di Piergiorgio Corbetta, con riguardo a diverse città italiane.
Primo. Renzi ha assorbito il centro. Il flusso più importante di voti in entrata al Pd proviene da Scelta Civica, tutta intera. L’area che faceva capo a Mario Monti (come si vede nel grafico) si è svuotata ed è passata in blocco a sostenere il premier. Nel Nord, dove Monti aveva vinto di più, in città come Torino, Brescia, Padova, Venezia e Genova questo riposizionamento è evidentissimo. Una dinamica che si attenua leggermente nel Centro (Bologna, Firenze e Parma) e che diminuisce nel Sud.
Con tutta probabilità, si tratta di elettori che avrebbero votato per Matteo-il-riformista già nel 2013, se Renzi avesse vinto le primarie contro Bersani. Sono tanto transfughi del Pdl quanto fuoriusciti dal Pd. Solo i primi, attraverso questo passaggio intermedio, costituiscono un vero e proprio «travaso» di voti che nel 2008 appartenevano a Berlusconi. Ma nessuno può dire se si tratti di elettori in passato stabilmente identificati con il centrodestra, o piuttosto, come appare più verosimile, di elettori fluttuanti, abituati a scavallare il crinale di elezione in elezione, a seconda del piatto offerto dagli uni e dagli altri. Quindi Scelta Civica ha di fatto ospitato un elettorato stanco di Berlusconi e allo stesso tempo respinto da Bersani che appena ha potuto si è riversato tra le braccia di un leader che promette di cambiare tutto.
Renzi ha poi conquistato voti grillini, anche in questo caso, con tutta probabilità, voti che avrebbe intercettato già nel 2013. Fin qui niente di strano, a dire il vero. Lo sapevano tutti, compresi i dirigenti del Pd che allora lo osteggiavano, che Renzi avrebbe potuto fare molto meglio di Bersani su entrambi i fronti.
La vera notizia (e quindi la vera differenza) di queste elezioni sta nella diversa capacità del leader Pd rispetto agli altri competitori di portare a votare «i suoi», in un’elezione peraltro «secondaria» come quella per il parlamento europeo. Berlusconi e Grillo hanno sofferto di un declino della partecipazione più o meno fisiologico, tra politiche ed europee, da parte dei loro elettori. In altre parole, dovrebbero rasserenarsi un po’; non è stata così tanto colpa loro se quote consistenti di seguaci hanno scelto di stare a casa. Anzi, è quasi la norma in elezioni di questo tipo. Grillo ce l’ha messa tutta per dare l’idea che si trattasse di una elezione cruciale, o noi o loro, e invece anche i suoi fan a cinque stelle sono diventati elettori normali, si sono impigriti e sono rimasti a osservare. Berlusconi, oggettivamente, non poteva fare di più.
Il premier invece se li è portati tutti dietro: una valanga di voti da un popolo che si è risvegliato, compresi gli «ex» irriducibili bersaniani, a cui era stato raccontato come un pericolo per la democrazia.
Che Renzi potesse attrarre elettori mobili delusi da Berlusconi e i tentati da Grillo lo sapevamo. La notizia è che Renzi ha «conquistato» il «suo popolo», di sinistra. Non da solo. In un gioco a somma positiva tra la sua leadership e la rete dei candidati alle amministrative, oggi più credibili sia degli esponenti disorientati e divisi del centrodestra, sia dei politici-cittadini mandati da Grillo. Il caso di Parma è emblematico, la roccaforte ormai assediata di Pizzarotti, il simbolo del successo a 5 stelle ha riportato la protesta al non voto (con quasi 11 punti percentuali in meno per i grillini), mentre il Pd schizza oltre il 50% e il sindaco-ombra Nicola Dall’Olio, candidato alle europee, fa il pieno di preferenze in città.
Quella del 25 maggio è stata dunque una vera e straordinaria vittoria del centrosinistra a egemonia Pd. A questo punto, c’è un unico consiglio che si può dare al premier. Caro Matteo, capitalizza subito. Segui il vento, porta a casa le due votazioni che servono per abolire il Senato elettivo e per approvare la legge elettorale, in sei mesi. O adesso o mai più.
Elisabetta Gualmini, La Stampa 28/5/2014