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 2014  maggio 28 Mercoledì calendario

PIÙ FORZA PER TRATTARE SUL FISCAL COMPACT


Più peso politico e forza negoziale, non per ottenere almeno per ora "sconti" di sorta sul fronte dei conti pubblici, ma per aprire la strada in autunno a diverse, rilevanti "aperture" da parte di Bruxelles. A condizione che il governo si presenti al tavolo negoziale con un pacchetto di riforme strutturali già avviate, dal completamento della riforma del mercato del lavoro al fisco, dal riordino della macchina pubblica alla «spending review». Sarà così possibile avviare la trattativa sul timing di rientro entro i parametri fissati dal Fiscal compact per il debito. Margini aggiuntivi potrebbero aprirsi per spese dirette a investimenti pubblici, cui accordare una sorta di corsia preferenziale così da scorporarle in tutto o in parte dal calcolo del deficit.
Il risultato elettorale rafforza – non vi è dubbio – la strategia europea di Matteo Renzi, unico leader insieme ad Angela Merkel uscito vincitore dalla competizione elettorale. A poco più di un mese dall’avvio del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea, s’impongono alleanze, perché la partita «per cambiare l’Europa» non la si può certo giocare da soli. Berlino, certo, ma anche Parigi, alle prese con un complesso tornante politico dopo la clamorosa sconfitta dei socialisti e di François Hollande, e la clamorosa affermazione del Front national di Marine Le Pen. Se Roma, Berlino e Parigi riusciranno a marciare compatti verso un’Europa più orientata alla crescita e all’occupazione, le necessarie azioni di politica economica dovrebbero esserne il naturale corollario. Più investimenti, meno vincoli di bilancio pur mantenendo inalterati i pilastri della disciplina europea, e in prospettiva Eurobond e golden rule.
All’interno di un percorso che si annuncia irto di ostacoli, il potere negoziale di Renzi ha ora una freccia in più nell’arco. La linea ufficiale resta quella annunciata a più riprese sia dal presidente del Consiglio che dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: per chiedere e ottenere maggiore flessibilità, occorre prima di tutto rispettare le regole. E il deficit nominale – questo l’impegno ribadito dal governo – resterà al di sotto del 3% del Pil. La deroga di un anno, chiesta per raggiungere il pareggio di bilancio in termini strutturali è «momentanea». Motivato da «circostanze eccezionali», lo scostamento non inficia il percorso di avvicinamento verso l’obiettivo di medio termine. Ma Bruxelles ci chiederà comunque di rispettare l’impegno a ridurre il deficit strutturale per almeno lo 0,5% del Pil fino al raggiungimento del pareggio.
Occorre fare i conti con gli «squilibri macroeconomici eccessivi», che la Commissione europea non mancherà di richiamare il prossimo 2 giugno, quando si esprimerà sui documenti programmatici del governo. A partire dalla perdurante bassa produttività, da una crescita che stenta a ripartire e dal debito pubblico proiettato verso il picco record del 135% del Pil. E tuttavia Renzi e Padoan sono pronti a far valere in sede di trattativa in autunno l’atout dell’avanzo primario (indicato in crescita verso il 4% del Pil) e l’effetto delle riforme strutturali in termini di incremento del Pil potenziale. Si potrà puntare sull’iniezione di liquidità atteso dallo sblocco di ulteriori tranche dei crediti commerciali della Pa e sull’auspicata riduzione dello spread, ieri a 161 punti base. Difficile prevedere al momento a quale livello ci si attesterà nella seconda parte dell’anno. La variabile politica (tutt’altro che estranea all’incremento del differenziale registrato a ridosso dell’appuntamento elettorale di domenica scorsa) resta decisiva. Ecco perché il clamoroso risultato ottenuto dal Pd va capitalizzato, altrimenti il beneficio sul fronte dello spread e dei tassi svanirà.
Le raccomandazioni che la Commissione rivolgerà all’Italia non potranno discostarsi di molto dalla linea seguita finora. A novembre l’esecutivo comunitario verrà rinnovato. «Tutte le discussioni sui nomi – ha ribadito ieri Renzi prima dell’avvio del vertice informale dei capi di Stato e di Governo – vengono dopo la discussione su quello che dobbiamo fare». E sarà proprio con la nuova Commissione che occorrerà imbastire la trattativa, alla luce dei nuovi equilibri politici in via di definizione.

Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 28/5/2014