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 2014  maggio 28 Mercoledì calendario

IL MIRACOLO-GIANNINI, PIÙ INTERVISTE CHE VOTI


Più interviste che voti. L’immagine che emerge dalle elezioni europee della ministra Stefania Giannini, erede di Mario Monti a capo di Scelta Civica e titolare del ministero dell’Istruzione, è questa. Capofila di Scelta Europea, lista poliedrica che comprendeva anche “Fare per fermare il declino” di Michele Boldrin e il “Centro democratico” di Bruno Tabacci, Giannini non è andata oltre i 197 mila voti, lo 0,7% del totale. Eppure, era seduta su un capitale elettorale di 2,8 milioni di voti, dilapidato come farebbe un giocatore d’azzardo di fronte a un’eredità improvvisa.
In quella manciata di voti spiccano, per scarsità, le 3195 preferenze ottenute dalla ministra, meno di quante ne ha prese Mario Borghezio nel centro Italia, una miseria se confrontate all’esposizione mediatica. Perché, qui sta il bello, Stefania Giannini, da quando è diventata ministro della Repubblica, sulla stampa ci è stata più di qualsiasi altro collega del governo Renzi. L’ultima volta, il 22 maggio scorso con un’intervista al Giornale di Vicenza in cui annunciava: “Così cambierò il nostro modello universitario”. Prima di questa ce ne erano state 32 (l’elenco è disponibile sul sito del Miur) in 90 giorni di governo. Una ogni tre giorni, un tour de force che fa onore al suo ufficio stampa, ma che non ha avuto effetti sulla scuola italiana. Perché Giannini ha detto praticamente tutto ma, finora, non risulta abbia fatto nulla.
Nella prima intervista, del 22 febbraio, il messaggio è “scuole più sicure”. La ministra assicura che arriveranno “3,7 miliardi per la sicurezza nelle scuole”, cifra ribadita da Renzi in campagna elettorale ma non ancora verificabile. “Studierò come una secchiona” assicurava però a Repubblica il 23 febbraio predisponendosi a tracciare, come un generale o un viandante nel deserto, la sua “road map”.
La scuola, nel frattempo, non si è accorta di nulla. I precari litigano tra di loro perché costretti a stare in graduatorie contrapposte (i Tfa contro i Pas, gli “storici” contro i concorsisti, un ginepraio inestricabile); la fatiscenza degli istituti è verificabile da chiunque accompagni un figlio a scuola la mattina, l’università si è accorta solo dell’abolizione dei test di ingresso a Medicina. Intanto la ministra accompagnava Renzi nelle sue visite del mercoledì e poi, portava il saluto dello Stato italiano, nerovestita, a papa Bergoglio. “Ma non prometto miracoli” dichiarava ancora a Repubblica. “Mi batterò contro i tagli agli atenei” spiegava il 20 aprile e poi, il 6 maggio, voleva “accorparli” per competere in Europa.
All’Espresso, mimando Mariangela Melato, confessava che bisogna “Dimenticare Gelmini”, ma al più popolare Metro prometteva “2.000 euro per i docenti”. Nei panni di leader politico rispondeva, sul Corriere della Sera, alle avances politiche di Corrado Passera e poi, alla vigilia del voto, lasciava intendere che, se eletta, non avrebbe lasciato l’incarico al ministero. Concezione stoica della propria missione.
Interpellata ieri dal Fatto Quotidiano non ha rilasciato dichiarazioni se non l’annuncio delle uniche dimissioni che al momento è disposta a dare: quelle da leader della ormai inesistente Scelta Civica che, però, detiene un pacchetto di deputati e senatori importante. I più sembrano orientati a passare armi e bagagli con Matteo Renzi ma la “scelta” non sarà semplice.

Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano 28/5/2014