Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano 28/5/2014, 28 maggio 2014
DALLA SVOLTA DI OCCHETTO ALLA DEMOCRAZIA RENZIANA
Se lo chiedi ad Achille Occhetto ti risponde sicuramente che “la svolta” non doveva finire così. L’idea di sciogliere il Pci doveva far maturare una sinistra di tipo nuovo, riformista e radicale allo stesso tempo. Dopo venti anni, però, l’esito è stato questo: la nascita di un nuovo partito, il Pd di Renzi, che segna la fine della gauche all’italiana.
Simbolo dell’epilogo è il titolo che si poteva leggere ieri, sulla prima pagina romana di Repubblica: “Parioli-Trieste, il quartiere più rosso”. Stiamo parlando dei quartieri-bene della Capitale, una volta regno della Dc più conservatrice o del voto Msi. Ora questi quartieri premiano il Pd di Renzi che invece è sfidato dal M5S in quelli “proletari” come Tor Bella Monaca o Torpignattara. Era accaduto anche ai socialisti francesi, a inizio degli anni 2000, quando conquistavano Parigi con i quartieri borghesi popolati dai “bo-bo”, l’intelligentsia benestante della Francia progressista. In Italia la tramutazione è meno illuminata e mescola le propensioni progressiste al perbenismo cattolico, alla furbizia dei piccoli imprenditori o alla pacatezza ministeriale del lavoro pubblico.
La svolta di Occhetto ha aperto un periodo convulso ben rappresentato dalle oscillazioni elettorali. Nel 1992 il nuovo Pds, nato dalle ceneri del Pci, ottiene uno striminzito 16% mentre la scissione di Rifondazione comunista (Prc) raggiunge il 5,6. Molto al di sotto del 26,5% raggiunto dal Pci alle ultime politiche del 1987. Il nuovo corso parte a fatica e solo nel 1994 otterrà un più incoraggiante 26,4%. Per dare fiato alla sinistra, però, serve lo spauracchio di Berlusconi al governo e così, nel 1996, con il primo esperimento ulivista di Romano Prodi, l’obiettivo di battere le destre permette al Pds di Massimo D’Alema di superare il 21% mentre Rifondazione comunista tocca il massimo storico, l’8,5%. Sarà la prova, fallimentare, di governo a invertire la tendenza elettorale trascinando di nuovo le “due sinistre”, come ebbe a definirle Fausto Bertinotti, al 23,2%. Nel frattempo c’è stata una mini-scissione del Prc, con la nascita del Pdci, nasce la Margherita di Francesco Rutelli (e di Renzi) e il duello tra D’Alema e Veltroni domina la scena. Tutto questo non impedisce di rimettere insieme i vari cocci per battere nuovamente Silvio Berlusconi. Alle Politiche del 2006 i Ds sono fermi al 17,5% (dato del Senato mentre alla Camera si presenta l’Ulivo che raggiunge il 31,2%), Rifondazione al 5,8% e il Pdci al 2,3. La crisi strisciante del governo Prodi accelera la formazione del nuovo partito, il Pd che nasce con la primarie del 2007. Veltroni è eletto con il 75% dei consensi e, di fronte all’impasse pro-diana, decide di non ostacolare le elezioni anticipate. Le perderà ma porterà il Pd al 33,1% annullando la sinistra radicale che con l’Arcobaleno sprofonda al 3,1% (a cui aggiungere l’1,1% dei gruppi del Pcl e di Sinistra critica). Le avvisaglie per cui il mega-contenitore democratico si accinge a uccidere la sinistra storica ci sono tutte. C’è però il tempo per un’ulteriore inversione, rappresentata dall’avvento di Pier Luigi Bersani alla segreteria del partito. La sua leadership è così dipinta come svolta a sinistra che Francesco Rutelli decide di fondare l’Api (e sarà un disastro). Bersani, si vedrà bene, è uomo dalle salde relazioni con il mondo imprenditoriale ma è anche colui che dà sponda alla Cgil e costruirà di nuovo una coalizione di centrosinistra, Italia Bene Comune. Finirà male.
Il Pd raccoglie un misero 25,5% alle Politiche del 2013 e viene superato da Beppe Grillo. La sua sconfitta apre le porte all’avvento di Matteo Renzi, il “salvatore” del partito, santificato alle primarie di dicembre e, poi, alle Europee del 25 maggio. Il 40,8% è un risultato storico che comprime la sinistra radicale al 4%. La capacità di Renzi di presentarsi come compiutamente interclassista, come la Dc ha fatto nella sua lunga storia, prepara per il Pd una storia diversa. Gli attacchi al sindacato, del resto, ne sono stati l’antipasto. A sinistra sembra rimanere solo lo spazio occupato dalla lista Tsipras i cui voti, però, sono addirittura inferiori a quelli del disastro del 2008 e in cui si riaffaccia, tramite Sel, la volontà di riallacciare i rapporti con Renzi. Per rappresentare la sinistra, non è molto.
Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano 28/5/2014