Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 27/5/2014, 27 maggio 2014
MUTI SENZA CONFINI
[Intervista a Riccardo Muti] –
ROMA
Riccardo Muti è un venerabile oggetto di culto in Giappone, dove fin dalla gioventù si reca a fare musica con le orchestre più amate, come la Filarmonica di Vienna, «che vi diressi, alternandomi sul podio con Karl Böhm, durante la mia prima volta in quel paese, nel 1975», racconta. In seguito si è esibito a più riprese a Tokyo sia con la Scala sia con i viennesi, conquistando un gran numero di fan. Sono leggendarie le folle di spettatori nipponici che, dopo le sue rappresentazioni, puntano ritualmente all’autografo sfilando per ore e ore con silenzioso rispetto, per poi regalargli un cerimonioso inchino al momento dell’incontro. I più devoti hanno creato un club, la “Camerata Muti”, in delirio per questo musicista che attraversa il globo come l’alfiere più entusiasta del nostro melodramma, un’arte nella quale crede con ardore assoluto: «Verdi è adorato nel pianeta, dall’Oriente al Sudamerica», dice.
Fino al primo giugno, in due giganteschi teatri di Tokyo, il Bunka Kaikan e l’NHK Hall, Muti dirige due titoli verdiani, Nabucco (accolto con un vero trionfo) e Simon Boccanegra (fino al 31), con l’orchestra, il coro e gli allestimenti dell’Opera di Roma, a cui, negli ultimi tempi, l’energico maestro ha impresso un nuovo corso che sta dando i suoi frutti: «C’è stata un’impennata che li fa eccellere nel repertorio italiano e soprattutto verdiano », afferma orgoglioso. «Il lavoro fatto insieme, riconosciuto anche internazionalmente (torneremo a Salisburgo nel 2015), può portare l’Opera a diffondere il carisma culturale di una città unica al mondo».
Perché il suo Verdi seduce pubblici di emisferi diversi?
«È una musica consolatoria e travolgente. Nella caduta generale dei valori, Verdi può essere un’ancora di salvezza e uno strumento di dialogo. Ma è importante che sia eseguito nel rispetto delle sue intenzioni, senza scadere in gigionerie e atletismi inutili».
Verdi sarà anche al centro di un suo atteso concerto il 6 luglio, al Sacrario Militare di Fogliano di Redipuglia.
«Col Requiem verdiano ricorderemo le vittime di tutte le guerre. Dirigerò un’orchestra formata apposta per quest’occasione: il nucleo è la Cherubini, ma vi figurano anche musicisti dei Berliner, della Chicago Symphony e molti altri. Quest’evento simbolico, celebrato nel centenario della Grande Guerra, è un approdo delle “Vie dell’Amicizia” del Ravenna Festival. Vi assisteranno vari Capi di Stato, tra cui Napolitano. Pochi giorni dopo, il 12, sarò al festival di Spoleto per un concerto in onore del restauro del Caio Melisso, un gioiello storico come centinaia di altri teatri italiani. Il mecenatismo di Carla Fendi Speroni lo riporta al suo antico splendore, ed è un esempio da seguire».
Maestro Muti, lei ha parlato poco della scomparsa del suo “rivale” Claudio Abbado.
«In molti hanno cercato di costruire tra noi una conflittualità che invece non abbiamo mai coltivato. Ma il fatto che si parlasse sempre di noi due, accoppiandoci per contrasto, Abbado-Muti o Muti-Abbado, ha condotto le nostre vite a svilupparsi l’una nel segno dell’altra. La sua scomparsa, oltre a essere una perdita immensa per il mondo della musica, crea attorno a me un grande vuoto. Senza Abbado sono più solo. Entrambi rappresentiamo un modo di dirigere tipico della “vecchia” e gloriosa scuola italiana, basato sull’efficienza e la naturalezza del gesto in funzione della musica, ed estraneo a effetti circensi sul podio. Lui, come me, fondava la direzione innanzitutto sul rigore degli studi. Oggi, in questo mestiere, c’è tanta improvvisazione».
Qual è il suo giudizio sul nostro attuale governo, festeggiato dal successo elettorale di domenica scorsa?
«Viaggio molto e posso testimoniare che le vicende degli ultimi anni, viste da fuori, hanno amareggiato chi è fiero della propria terra d’origine. Guardo a Renzi con la speranza che trovi una strada concreta per la risoluzione dei nostri innumerevoli problemi, e nutro anche fiducia in quanto potrà fare il ministro Franceschini nell’ambito della cultura, così massacrata».
Ha un sogno?
«Istituire in Italia una scuola per direttori, cantanti e maestri collaboratori, a cui insegnare un modo sano di eseguire il repertorio, tanto devastato dalle pessime interpretazioni. Mi pare un dovere trasmettere ai giovani la mia esperienza».
Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 27/5/2014