Sandro Cappelletto, La Stampa 27/5/2014, 27 maggio 2014
CASAGRANDE, LO STRANO CASO DEL PIANOFORTE SABOTATO
Quando Mauro Buccitti, di mattino presto, entra in teatro per controllare che tutto sia in ordine, non crede a quello che vede: i feltri dei martelletti del pianoforte gran coda che deve accordare prima dell’inizio delle prove, sono umidi, gonfi d’acqua. L’acqua da sola lì non ci va: non può essere stato che un sabotaggio. Il Concorso Internazionale Alessandro Casagrande è, assieme al Busoni di Bolzano, il più importante in Italia. I giovani pianisti ammessi possono scegliere la marca del pianoforte su cui suonare: Steinway o Kawai. Si sono presentati in 64, più della metà dall’Asia, in particolare da Cina, Corea, Giappone: un mercato in continua espansione, e per i costruttori è un ottimo investimento pubblicitario poter dire che un pianista ha vinto un prestigioso concorso suonando sul «nostro» strumento.
Ognuna delle due ditte ha inviato a Terni il proprio accordatore di fiducia: Buccitti per l’americana Steinway & Sons, fondata nel 1853 a New York dall’emigrato tedesco Henry Engelhard Steinweg con i suoi quattro figli: «The best piano possible», il suo motto. Arinume Yamamoto per la giapponese Kawai, creata nel 1927 da Koichi Kawai: «The future of the piano». Inumidire i feltri significa spegnere il suono, farlo morire. Il pianista tocca i tasti, i tasti mettono in funzione i martelletti di legno, che a loro volta toccano le corde di metallo; tra martelletto e corda è indispensabile la funzione del piccolo feltro, che ammorbidisce il contatto, consente al suono di diventare più lieve, di acquistare dolcezza e risonanza, di «cantare». E infatti, l’acqua ha gonfiato tredici feltri, quelli che corrispondono al registro «cantabile» della tastiera. L’obiettivo del sabotaggio appare chiaro: di fronte a un suono così smorto, tutti i concorrenti avrebbero preferito l’altro strumento.
Buccitti, docente di «accordatura e tecnologie del pianoforte» al Conservatorio romano di Santa Cecilia, avverte subito Claudia Bonitz, rappresentante generale in Italia della Steinway, anche lei presente a Terni. La Bonitz chiama Amburgo, sede europea della ditta. Dalla Germania, l’indicazione è netta: chiedere la sospensione del Concorso, avviare immediate indagini, inoltrare denuncia all’autorità competente. La giustizia faccia il suo corso. Intanto, vengono convocati i sette membri della Giuria internazionale, presieduta dal maestro Joaquin Achucarro. I sette giurati inorridiscono.
E qui Buccitti ha il colpo di genio. Sapendo che in Italia il corso della giustizia è veloce come lo scorrere dell’acqua in uno stagno, chiede alla giuria di concedergli un paio d’ore di tempo; smonta la tastiera, solleva i martelletti, va a prendere un phon, asciuga i feltri. Rimonta il tutto, ascolta, uno per uno, il suono dei tredici tasti: non è più «goffo», è ritornato a vivere. «Lo strumento è pronto», dice con professionale orgoglio al presidente della Giuria. Si può iniziare, 90 minuti dopo l’orario previsto. Alla semifinale vengono ammessi in sei: tre cinesi, una sud-coreana, un russo, un italiano. Alla finale passano in tre: il russo Alexey Sychev (26 anni, suona lo Steinway), i cinesi Yuan Jie e Jia Zhichao Julian (26 e 23 anni, scelgono Kawai). Tutti tecnicamente perfetti. Vince Jia Zhichao, il più estroso, il meno prevedibile.
Sandro Cappelletto, La Stampa 27/5/2014