Guido Ruotolo, La Stampa 27/5/2014, 27 maggio 2014
LA VERITÀ DELLO “007 VERDE”: “TUTTA L’ITALIA È DIVENTATA UN’IMMENSA DISCARICA”
«Scovarli non è facile. Devi saper fare le domande giuste e sperare di avere di fronte un interlocutore non molto spregiudicato». Ha l’aspetto di un ragazzo che fa sport, anche se i cinquanta li ha passati da un po’. Scarpe da ginnastica tipo Superga e felpa bianca. È il fiore all’occhiello della Forestale e di quella categoria di “sbirri” che si occupano dell’ambiente.
Lui ha iniziato a indagare sui traffici di rifiuti sin dalla preistoria, avendo oltre 30 anni di inchieste alle spalle. E mica è in pensione: da Reggio Calabria a Brescia, Milano, Torino e alla Procura nazionale antimafia ha il polso della situazione delle indagini, o meglio di quei traffici criminali che continuano ad ammorbare e a inquinare, per dirla con lui, «il sistema economico del nostro Paese». E ai nuovi trafficanti, «gli imprenditori eco-criminali», ha dichiarato guerra.
A sentire il suo racconto, quelle poche certezze che sembravano acquisite si sbriciolano in pochi secondi. Per esempio, è vero che oramai i 57 «Sin» (Siti di interesse nazionale da bonificare, 3% del territorio nazionale), individuati a partire dal Decreto Ronchi del ’97, ricordano tante Vie Crucis che hanno segnato il cammino dello sviluppo industriale nel nostro Paese. Sono lì, esistono, ci ricordano le emergenze ambientali sedimentate negli anni.
Ma oggi, commenta il nostro investigatore, «sono diventate un alibi, santuari del disastro ambientale legalizzato». Non solo: «Con la crisi e la chiusura di impianti industriali, noi dovremmo aggiornare l’elenco dei siti da bonificare perché non sappiamo cosa si nasconde nel terreno di quelle nuove aree industriali dismesse».
Da valore negativo a simbolo di una realtà immodificabile. Poi succedono Pescara con l’acquedotto inquinato dalla discarica. O il quartiere Ferrovia di Avellino, contaminato dall’amianto che l’Isochimica grattava dalle carrozze ferroviarie. Fabbrica chiusa ormai da un quarto di secolo.
Ma invece di provocare sommosse indignate della popolazione, questi disastri ambientali finiscono con l’alimentare l’economia della catastrofe. E può succedere che gli «inquinatori» si trasformino in «bonificatori».
Ma l’aspetto più preoccupante (e sottovalutato) dell’imprenditore eco-criminale è la sua capacità di «intrecciarsi con l’economia illegale». Un generale della Forestale sintetizza: «Ridurre i costi dello smaltimento di rifiuti pericolosi affidandoli ieri agli spazzini della camorra e oggi a quelli della ’ndrangheta, significa anche alimentare la provvista di fondi neri per finanziare la corruzione politica e nuovi investimenti non sempre in attività lecite».
Si determina così una violazione delle regole del mercato: «Prendiamo i lavori della nuova autostrada BreBeMi, Brescia-Bergamo-Milano. Il sottofondo era composto da scorie delle fonderie bresciane. L’impresa ha vinto la gara con un forte ribasso perché sapeva dove avrebbe risparmiato e anzi avrebbe guadagnato al nero. C’è di più: quell’ impresa ha inquinato il sito di contaminanti di scorie di acciaierie».
E uno pensa che la Terra dei fuochi sia un prodotto dell’editoria, un accidenti di Gomorra. In realtà l’Italia è un’immensa Terra dei fuochi: «La vera emergenza è questa. È un territorio avvelenato. I lavori dell’Alta velocità Milano-Venezia hanno fatto scoprire che accanto al letto del fiume Vella c’erano altissime concentrazioni di pcb e cianuri».
L’immagine che ci propone l’investigatore della Forestale può sembrare troppo tagliata con l’accetta, assurda addirittura. Ma prima di cestinarla bisogna rifletterci sopra. E dunque: «Ogni scavo di terra nei cantieri di grandi opere come di complessi abitativi è uno scavo di terra inquinata. Non c’è più il fusto “tombato” di cui aver paura, oggi l’inquinamento e l’avvelenamento sono diffusi nei terreni».
Ma quando è iniziata questa storia? «Con la Cooperazione internazionale, all’inizio degli Anni 80. Partivano navi per Haiti e il Centro America cariche di rifiuti tossici e nocivi sottoforma di vernici e materiali per l’edilizia. Quando arrivavano a destinazione non finivano mai nei cantieri delle grandi opere ma venivano interrati prima».
«Non c’era la consapevolezza che certi rifiuti o scorie delle produzioni industriali fossero così nocivi. Quegli erano gli anni della vigilia di Mani Pulite. E quando esplose l’emergenza rifiuti urbani al Nord, ricordo in particolare Lecco, avemmo la percezione che politica e camorra si erano candidate a gestire il business del trasporto dei rifiuti».
Parla con cognizione di causa, l’ispettore della Forestale: «In Lombardia ogni autorizzazione per l’apertura di impianti per il trattamento e lo stoccaggio dei rifiuti sottostava a un tariffario regionale, che equivaleva a una tangente del 3%. Con l’emergenza se non ricordo male del ’92-93 partirono i rifiuti per il sud, per la Campania. Allora che non c’era la differenziata erano rifiuti misti, dalle pile alle batterie agli alimentari. E i rifiuti si perdevano nel viaggio. Così abbiamo conosciuto la camorra».
I traffici illeciti, illegali, sono come una autostrada. Ogni auto, camion, tir deve entrare da un casello e pagare. I casellanti sono i trafficanti una volta di armi, un’altra di droga fino ai rifiuti. E cosa ci riserva il futuro? «La scommessa dei professionisti del traffico dei rifiuti pericolosi è la loro declassificazione a un sottoprodotto. Nella metà degli anni Novanta, la Germania ci mandava la plastica della sua raccolta differenziata perché in quel Paese non c’erano impianti di trattamento. Non che nel nostro ce ne fossero. Qui c’erano gli imprenditori imbroglioni che quella plastica da smaltire la spedivano a loro volta in Egitto».
E oggi che succede? Nel Centro Italia è la ’ndrangheta che gestisce il movimento terra (avvelenata), con tutto quello che comporta. E poi? «Oggi la nuova frontiera dei rifiuti speciali è il traffico dei nuovi prodotti merceologici, computer, cellulari, plastiche. I cosiddetti Rae, rifiuti apparecchiature elettroniche. Ieri i sinti e i rom gestivano i roghi dei copertoni, oggi il materiale ferroso pregiato. Le nuove industrie che producono veleni sono i centri commerciali delle periferie metropolitane che vendono televisori, computer e cellulari. I nuovi spazzini sono gli immigrati. L’anno scorso una indagine della Procura di Reggio Emilia svelò questo nuovo mondo. C’erano italiani, ma soprattutto extracomunitari in quella che sembrava una organizzazione internazionale. Quei grandi centri commerciali ricordano le discariche e gli abitanti delle tante Soweto che esistono sul pianeta».
Guido Ruotolo, La Stampa 27/5/2014