Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 27/5/2014, 27 maggio 2014
EGITTO, IL GENERALE AL-SISI RIPARTE DA ORDINE E LAVORO
IL CAIRO.
L’erba cresce in piazza Tahrir. Negli spartitraffico dove avevano bivaccato tutte le rivoluzioni egiziane dell’ultimo triennio, l’amministrazione cittadina ha anche piantato aiuole di fiori che con moderato successo lottano contro il caldo e l’inquinamento. Intenzionale o meno, è un segno di normalità.
Quando, in ogni giorno di campagna elettorale, Abdel Fattah Saeed Hussein Khalil al Sisi, 60 anni, preannunciava la vittoria e l’imminente «restaurazione della democrazia», è questo che intendeva: normalità, ritorno all’ordine. Non esattamente democrazia come la intendevano i giovani, i primi e dimenticati occupanti di Tahrir. Agli egiziani andrà bene così, almeno per un po’. Ed è per questo che Ayman, uno di quei giovani reduci, «almeno per un po’» non prende più la metropolitana alla fermata di Tahrir: «Preferisco non tornarci, mi ricorda un’illusione».
Le due linee sotterranee del Cairo garantiscono quattro chilometri di metropolitana ogni milione di abitanti: un sollievo insignificante al caos della capitale egiziana. Quelle di Mosca hanno 30 chilometri per milione, a Parigi sono 150. «Sorge dal deserto come un’onda dal mare, con le sue moltitudini di persone che a fatica contiene», diceva il grande esploratore Ibn Battuta. Descriveva la città mamelucca del 1326; da allora è cresciuta fino a diventare uno tsunami urbano. Probabilmente 12/13 milioni di abitanti, sette dei quali con un reddito inferiore ai due dollari al giorno: in tutto l’Egitto i poveri sono 35 milioni. Sono loro, insieme alla piccola borghesia, ai sette milioni di dipendenti pubblici, ai due milioni di soldati e civili impiegati nelle forze armate, al business pubblico e privato, che ignoreranno i patimenti del giovane Ayman. Ascolteranno invece la promessa di «rinascita nell’ordine» dell’ex generale al Sisi.
Ieri e oggi si vota per il nuovo presidente, e sarà un plebiscito calibrato. C’è un contendente, Hamdeen Sabahy, amato al Cairo quanto sconosciuto fuori; è un nasseriano come al Sisi del quale aveva sostenuto il golpe dell’anno scorso contro i Fratelli musulmani: gli sarà garantita una percentuale non umiliante. Difficile chiamare opposizione Sabahy. La fratellanza è stata sradicata e la sua eliminazione dalla scena politica non interessa più a nessuno. Almeno per un po’.
Il dubbio è solo nell’affluenza ai seggi: quel che resta degli islamisti e il Movimento 6 Aprile dei giovani di Tahrir (messo fuori legge come la fratellanza) hanno invitato al boicottaggio. Ma l’appello avrà scarso successo. E in ogni caso il governo è pronto al bisogno. Non servirebbe: i regimi egiziani - Hosni Mubarak, poi i Fratelli musulmani di Mohamed Morsi ed ora l’esecutivo che tiene il posto per al Sisi - hanno sempre avuto scarsa fiducia nelle loro capacità di consenso. Anche se i militari non avessero mosso un dito, se il Paese non fosse presidiato dalla polizia e la stampa non fosse un coro uniforme a sostegno del prossimo presidente, al Sisi vincerebbe. Gli egiziani all’estero hanno già votato: Il 94,5% ha scelto lui.
Durante la campagna elettorale il ministro del Petrolio Sharif Ismail ha annunciato che a giugno e luglio l’elettricità sarà interrotta per un’ora e mezzo al giorno. L’Egitto ha bisogno di 31mila megawatt, ne produce a fatica 25mila. La disoccupazione cresce, l’inflazione è all’11%. Gli esperti di qualsiasi credo politico sono convinti che prima dell’assenza di riforme, la causa del declino economico egiziano sia nell’instabilità politica e nella scarsa sicurezza interna. Da quando il governo ha incominciato a dare una parvenza di questa sicurezza, l’economia ha mostrato segni di ripresa: nell’ultimo semestre la Borsa è salita del 43% e le riserve valutarie a 17,4 miliardi di dollari, quasi il massimo in tre anni. Standard & Poor’s ha confermato il rating egiziano B-/B: non è esaltante ma la caduta si è fermata. «Nei prossimi 12 mesi potremo alzarlo se gli sviluppi politici rafforzeranno il governo», predice l’agenzia.
Ordine e lavoro, non libertà di espressione, sono le priorità di questo Egitto nel quale 40 dei circa 90 milioni di cittadini sono analfabeti o quasi. A loro interessa poco che il presidente a interim Adly Mansur, alter ego di al Sisi, abbia invitato i giovani a «costruire il vostro futuro: impegnatevi nella politica e nei partiti e siate fiduciosi», firmando contemporaneamente una legge che impedisce le manifestazioni. Ma quella brezza spirata brevemente quando in piazza Tahrir non esisteva l’erba, c’è stata: è nella memoria dei giovani che sono il 70% dei disoccupati, e l’82% di questi ragazzi senza lavoro hanno ricevuto un’educazione superiore. Hanno aspettative, possono essere il futuro dell’Egitto. O il potenziale della prossima rivolta, se Abdel Fattah al Sisi si accontentasse di essere un altro Mubarak, solo più giovane di 25 anni.
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 27/5/2014