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 2014  maggio 27 Martedì calendario

ROHRWACHER: “CHIEDETEMI SE SONO FELICE”


Chiedimi se sono felice. Dopo il Grand Prix di Cannes a Le meraviglie, Alice Rohrwacher non ha avuto bisogno di chiedere: “Me l’hanno chiesto i miei genitori, è l’unica cosa che gli interessa”. In carnet Corpo celeste (2011), la sua opera seconda nasce dal “desiderio di raccontare la trasformazione del paesaggio agrario”, ovvero, dal ‘Che bel posto, sembra di stare nel Medioevo!’ lasciato in dote da chi passava per casa Rohrwacher. “Ci sono cresciuta, la campagna umbra è dilaniata tra l’abbandono, l’industrializzazione selvaggia e la trasformazione in museo tematico: le energie politiche e culturali residue vengono impiegate nella salvaguardia degli antichi valori, che però sono solo uno strato. Che tristezza”.
Alice non ci sta, e nelle Meraviglie inquadra “il lavoro in campagna, che non è morto né un idillio a cui rifarsi con retorica”, e lo affida a una famiglia che – al di là delle ricorrenze spicce: la sorella Alba interpreta la madre, il padre è un apicoltore – è autobiografica perché “si vuole molto bene, si ama”. Alice ride: “È una famiglia prima della psicanalisi , non ci sono fiumi sotterranei, nemmeno la scelta di Alba ha un’eco psicanalitica: non avevo un ruolo per lei, la madre me l’immaginavo più grande. Ma poi non la trovavo, e ho ritrovato lei: ‘Ci devi provare’. E ci ho creduto subito”. Le meraviglie e le Rohrwacher, Alice dietro la macchina da presa, la sorella davanti a far da madre: “Forse è una foto di famiglia, ma non è la mia. Eppure, mi sembra di conoscerla, perché di vero ha che non è coerente” . E, sì, la psicanalisi finisce fuori dal quadro: “Non ho niente contro, ma amo il cinema e mi piace la sintesi, perché affascina, ha potere, ci vuole tanto tempo per scioglierla: il simbolico unisce, mentre l’analisi è diabolica, separa”.
Che posizione scegliere, come guardare il mondo, come sintetizzare in un’immagine tutti gli strati del linguaggio verbale? Alice per ora sa “che non posso fare: devo stare lì, prendermi la responsabilità dello sguardo. E tenere sempre la macchina in mano: anche quando deve stare ferma, è necessario che si senta il respiro di chi la tiene. Non bisogna fare finta che non ci siamo”. Né che non ci siano orme da seguire, meglio, da contemplare: nel dissidio tra una realtà capace di immaginazione e una televisione incapace a tutto, Le meraviglie fa pensare a Reality di Matteo Garrone (Grand Prix a Cannes 2012), “un film che mi ha stordito per bellezza e dolore. Ma non riesco a metterli in relazione, io devo fare ancora tanta strada”. Ma almeno una tappa è già raggiunta, e non si cancella: “Fare esperienza attraverso gli occhi di un altro è un atto politico, così intendo il cinema”. Dopo la Cannes di Alice, la vittoria di Renzi alle Europee, ma le analogie non abitano qui: “Se sapessi avere consenso, farei politica in modo diverso, ma io non lavoro per il consenso, anzi”. Né per la rottamazione: “Il passato, anche quello del nostro cinema, non va rottamato né glorificato: bisogna stare nel presente, nel passato e nel futuro che sono nel presente. E starci con tenerezza”.
Sapendo che “sarebbe bello se i social network fossero davvero sociali, e non individuali: io così non ne sono capace”, sentendo piuttosto che “l’unico social è la sala cinematografica”, e chiedendo un pezzetto di felicità: “Basta dire che questo, i film di Frammartino, Marcello e altri non sono italiani: lo sono, c’è un humus vivo e forte. E bisogna ripeterlo a chi finanzia, perché ne tragga maggiori motivazioni: sono film italiani”.

Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano 27/5/2014