Marcello Sorgi, La Stampa 28/5/2014, 28 maggio 2014
Matteo Renzi, fino a prima delle elezioni, veniva accreditato (e criticato) per l’uso disinvolto di due forni politici, come ai tempi di Andreotti e delle sue alleanze a corrente alternata con socialisti e comunisti
Matteo Renzi, fino a prima delle elezioni, veniva accreditato (e criticato) per l’uso disinvolto di due forni politici, come ai tempi di Andreotti e delle sue alleanze a corrente alternata con socialisti e comunisti. Ma dopo la stra-vittoria di domenica, i forni, a sorpresa, sono diventati quattro, e quello che sta succedendo al loro interno si può considerare la prima e più visibile conseguenza del voto del 25 maggio. Il primo forno era e rimane quello di Alfano e del Nuovo centrodestra. Ncd è l’unico alleato di governo sopravvissuto al grande tornado delle europee. Grazie all’alleanza dell’ultimora con Cesa e l’Udc, ha superato la soglia del 4 per cento, mentre gli altri componenti della maggioranza, a cominciare da Scelta civica, si sono liquefatti. Ma adesso, all’interno del partito del ministro dell’Interno, s’è aperto un dibattito: dobbiamo insistere a rappresentare un’alternativa a Forza Italia, anche se gli elettori al momento non ci hanno premiato, o scegliere di diventare la costola di destra del centrosinistra? L’iniziativa l’ha presa il senatore Naccarato, un democristiano amico di Cossiga, cresciuto alla scuola di Gava, che sostiene che dalle urne è venuta una forte spinta a serrare al centro. Per Alfano, che punta appena possibile a sostituire Berlusconi, è una prospettiva inaccettabile. Ma pare che all’interno del Ncd i ministri Lupi e Lorenzin non la pensino allo stesso modo. Il secondo forno resta quello di Berlusconi. È il più largo e Renzi da sempre lo considera il più affidabile, complice l’amicizia fiorentina con Verdini, e a dispetto delle inevitabili polemiche che i due leader si sono dovuti scambiare in campagna elettorale. Non appena incassata la sconfitta, il Cavaliere in persona ha ribadito la sua offerta di collaborazione al presidente del Consiglio, ricordandogli che senza i voti di Forza Italia le riforme in Parlamento non passeranno. Il modesto 16,8 per cento racimolato nelle urne ha lasciato dentro Forza Italia molti scontenti (oltre che trombati sul campo) e ha aperto una discussione che come altre volte rischia di degenerare. Ma siccome è stato Silvio a rivolgersi direttamente a Matteo, almeno su questo punto nessuno ha fiatato. Il forno, così, è rimasto aperto, malgrado gli effetti letali dell’«abbraccio mortale» (come lo chiamarono Toti e Gelmini) con il leader del Pd. Con il terzo forno, definibile il «forno Tsipras», cominciano le novità. La lista intitolata al vincitore delle elezioni greche contiene diverse anime, ma due sono le principali: il gruppo di intellettuali europeisti schieratisi contro la Merkel e il suo «Fiscal Kompact», tra cui i primi eletti Barbara Spinelli e Moni Ovadia, e un gruppetto di Sel, che da sola non ce l’avrebbe mai fatta a superare lo sbarramento, ed è salita sul taxi Tsipras per avere una rappresentanza a Strasburgo. A spingere per questa soluzione, festeggiata l’altra sera in tv da Vendola, è stato il capogruppo alla Camera Migliore, fautore da sempre di un riavvicinamento della sinistra radicale a Renzi e al governo. Ed è lui adesso, in vista del semestre italiano di presidenza europea, a premere perché la Tsipras italiana dialoghi con il presidente del Consiglio e lo stimoli a sfruttare un’occasione così importante per mutare l’indirizzo della politica economica a Bruxelles. Un approccio così alto, che da Palazzo Chigi, va detto, non ha ricevuto alcun segno di assenso, e dentro Sel non da tutti è condiviso, non escluderebbe poi intese diverse anche nel Parlamento nazionale e in vista delle scadenze impegnative dei prossimi mesi. Il quarto forno è il più clandestino e, viste le espulsioni fioccate nei mesi scorsi contro tutti quelli che hanno dissentito dalla linea ufficiale, all’interno del Movimento 5 stelle nessuno è disposto a intestarselo dichiaratamente. Ma i rumors che vengono dai parlamentari, a cui è stato impedito di commentare in qualsiasi modo il flop di tre giorni fa, dicono che non tutti sono convinti che Grillo possa cavarsela con una pillola di Maalox e quelle battute sul popolo dei pensionati con cui ha spiegato la sconfitta sul suo blog. La questione che s’è riaperta, e di cui si discute già sulla rete e sui giornali più vicini al movimento, è se non sia stato un errore trattare Renzi esattamente come erano stati trattati Bersani e Letta, se invece per il futuro non sia meglio distinguere tra le riforme da rigettare totalmente e quelle da emendare, riconoscendone implicitamente il valore, e se infine non si debba valutare un comportamento parlamentare che potrebbe essere modulato, invece che ridotto quasi esclusivamente all’ostruzionismo e a spettacolari manifestazioni di protesta. A spingere in questo senso sono anche i senatori ex M5s espulsi e riuniti nel gruppo parlamentare di «Democrazia attiva», che potrebbe presto ingrossare le sue file, e caratterizzarsi, su certi temi con aperture al governo. Diventando, appunto, il quarto forno di Renzi.