Paola Brivio, Focus 6/2014, 28 maggio 2014
IN FILA PER UNO: È L’ORA DI GINNASTICA
In fila per uno, avanti march! sinis, des, passo!”.
Questa marcetta militaresca, dettata dal professore all’inizio dell’ora di ginnastica, ha cadenzato, almeno fino agli anni Sessanta, i passi di intere generazioni di italiani. Al “present alt!”, che imponeva agli alunni di allinearsi in ordine di altezza lungo una linea bianca, seguivano esercizi mirati a potenziare la forza e l’agilità, anche se, verso il termine della lezione, veniva sempre il momento di giocare con la palla.
Tutte pratiche antiche: già nel VI secolo a.C. in Grecia i ragazzi si allenavano con la ritmica e l’acrobatica. Ma quando e come nacque “l’ora di ginnastica”?
Lo sport moderno si affermò in Europa nel corso dell’Ottocento con la rivoluzione industriale, quando, con il crearsi di sempre maggiori spazi per il tempo libero, gli operai iniziarono a dedicarsi alle attività organizzate nei dopolavoro. In questo contesto vennero poste le basi per la pratica della ginnastica anche nelle scuole.
NON PER GIOCO. Verso la fine del Settecento, tuttavia, si era già acceso un vivace dibattito sugli obbiettivi dell’attività sportiva. Nell’Europa continentale prevaleva la visione prussiana, che considerava l’insegnamento della ginnastica uno strumento necessario a formare corpi addestrati insieme a una coscienza nazionale e militare. Ben altro atteggiamento si aveva in Inghilterra, dove veniva esaltata la funzione ludica e salutare dello sport, soprattutto per contrastare la violenza tra gli studenti nei collegi. L’educazione fisica aveva quindi finalità educative e moralizzatrici, e i ragazzi erano spinti a gareggiare lealmente negli sport individuali e di squadra.
NUOVI ITALIANI. Anche nell’Italia post risorgimentale si contrapposero le due scuole di pensiero, ma infine prevalse l’impostazione militaresca prussiana: i nuovi italiani dovevano essere forti e pronti a difendere la patria. Nelle leve militari indette tra il 1861 e il 1871, infatti, circa un quarto dei giovani veniva considerato inabile per gracilità o malattie endemiche. L’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole del nostro Paese venne reso obbligatorio nel 1878, e inizialmente era limitato alle classi maschili. Furono perciò create le prime strutture sportive, anche se le palestre scolastiche si potevano contare sulle dita di una mano: la ginnastica si faceva in corridoio o in cortile (e in molte scuole è così ancora oggi).
Poco cambiò fino a quando il regime fascista intervenne pesantemente nella riorganizzazione scolastica. Nel 1927 fu istituita l’Opera Nazionale Ballila (Onb) che ebbe il compito di provvedere “all’educazione fisica e morale della gioventù in tutte le scuole del Regno d’Italia”. Fu una macchina organizzativa e di propaganda efficacissima, i cui compiti non si limitarono al solo insegnamento della ginnastica. Gli studenti, dalle elementari all’università, furono coinvolti in raduni, campeggi, parate e manifestazioni sportive. Con la caduta del fascismo, questa macchina organizzativa si dissolse. Nei primi anni del secondo dopoguerra l’insegnamento della ginnastica nelle scuole risentì di forti condizionamenti culturali proprio per il fatto di essere stato un potente strumento di propaganda educativa fascista. Inoltre, viste le emergenze del Paese in fase di ricostruzione, le riforme, sia nell’insegnamento, sia nella costruzione di nuove strutture per lo sport, vennero rimandate.
INSEGNANTI. A riprendere in mano l’organizzazione scolastica fu nel 1952 l’Istituto Superiore di Educazione Fisica (Isef) che si fece carico della preparazione dei docenti. Ma il processo di diffusione di una solida cultura sportiva in Italia fu lento. La vera rivoluzione si è compiuta solamente grazie all’integrazione europea: a partire dagli Anni ’90 i Paesi membri hanno dato il via a corsi di laurea in Scienze motorie e dello Sport, per approfondire la preparazione dei futuri docenti di educazione fisica.
Paola Brivio