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 2014  maggio 28 Mercoledì calendario

QUESTO LO CRETO: ANCH’IO SONO TALENT

[Intervista a Antonio Razzi] –

nelle due ore che ho passato nell’ufficio del Senato di Antonio Razzi il suo cellulare ha squillato almeno venti volte, e almeno venti volte lui ha risposto perché «mi scusi, sa, ma bisogna parlare con tutti». «Se poi chi ti parla ce l’hai davanti, lo devi guardare negli occhi: se lui non lo fa è quasi sicuro che sta mentendo». Sessantasei anni portati con tricologica baldanza, Razzi, prima di essere la parodia «questo io non lo creto» di Maurizio Crozza è stato operaio immigrato in Svizzera, coordinatore dei circoli di Italia dei valori, capolista di quel partito, deputato di quello stesso partito che poi ha lasciato votando, il 14 dicembre 2010, la fiducia a Berlusconi, tra le cui fila adesso è senatore. Per giustificare il tradimento nei confronti di Di Pietro («per me era un papà») ha addirittura scritto un libro: Le mie mani pulite, una autobiografia «che insegna ad insistere nella vita, da ultimo tra i primi», come recita nel frontespizio. «La mia è una favola: da operaio a senatore, dicendo sempre quello che penso. Non rifletto nemmeno quando parlo: a volte mi va pure male».

La sincerità in politica è una dote rara?
«Purtroppo sì. Io però non sono un vero politico, sono un lavoratore e sto in mezzo alla gente. Quando cammino per strada i giovani vogliono fare il selfie con me, loro sono attenti alla politica, guardano Crozza. Alcuni capisco che pensano: “Guarda lo scemo del senatore”. Ma io non ce l’ho con Crozza. Lui fa il suo lavoro, lo fa bene».
Quella parodia non la offende mai?
«Non mi offendo perché io non sono così scemo come mi fa. Deve far ridere, se facesse piangere dovrebbe andare a C’è posta per te. Apprezzo il lavoro fatto bene, anche se lo fa qualcuno di sinistra».
Lei è di destra da sempre?
«Sì, anche se vengo dal mondo operaio per cui è strano. È una cosa di famiglia».
Che cosa vuol dire per lei essere un uomo di destra?
«Mah, io penso che l’uomo di destra è più per il dialogo e la pace. A sinistra non si parla con il pesce piccolo. In Forza Italia dialogano tutti quanti con me, pure che sono un operaio. Questo mi mancava quando stavo all’altro partito».
Si sentiva messo da parte nell’Italia dei valori?
«Non mi salutavano nemmeno. Quando una coppia si sposa e non vivono più serenamente bene io penso che si lascino. Se non c’è armonia, se non c’è amore, non vivi bene. Questo non mi saluta, questo non mi parla: non si può campare così. Adesso se incontro Berlusconi mi dice: grande Antonio!»
A sentire lei la politica è tanto una questione di affetti, di amore...
«Sicuramente. Se c’è l’amore uno riesce a tutto. Io lavoro 16 ore, ma mi passa in fretta. Se uno fa fatica è meglio che fa quello per cui è talent. Ogni uomo nella vita ha un talento».
Qual è il suo?
«Io ho un talento generale: mi adatto a tutto e a tutti. Bionde, brune... Bisogna ricordarsi che siamo di passaggio».
È credente?
«Penso che sopra c’è qualcuno che ci ha fatto. Altrimenti che ci stiamo a fare qui? Io lo so che mi hanno fatto mia mamma e mio padre, ma se facciamo la catena, da dove parte? Da uno è partita, sicuramente uno soprannaturale ci ha dato il la».
Le pesa la differenza culturale con i suoi colleghi?
«Penso che se ero laureato, con la mia mentalità, chissà cosa potevo fare. Purtroppo ho la quinta ragioneria, da privatista, tre anni in uno. In italiano ero un somaro. Il tedesco non l’ho mai studiato, ma l’ho imparato perché in Svizzera giravo col vocabolario in tasca. Quando mi incontravo con le ragazze, cercavo le parole. Tante lingue le ho imparate per amore, voi donne siete di stimolo. Senza di voi gli uomini sarebbero persi, spacciati. Adesso parlo anche spagnolo, perché mia moglie è spagnola, e mi arrangio all’inglese e al francese. Thank you, fine. Quando vado agli incontri internazionali mi parlano in inglese e io gli dico: fermate un poco, famme riflettere».
Dove ha conosciuto sua moglie?
«In Svizzera, lavorava nella mia stessa azienda tessile. L’ho vista e ho pensato: posso sposare solo lei. È una donna seria e ha visto che anche io ero serio. Era la mia tecnica di conquista: alle ragazze piacciono quelli seri. Siamo sposati da 40 anni».
Visto che parliamo d’amore e matrimonio: è favorevole ai matrimoni gay o, come li chiama lei, degli uomini sessuali?
«Questo no. Se vogliono vivere insieme a me non mi dà fastidio. Ma i bambini che guardano cosa pensano? Adesso lo sanno che non li porta più la cicogna».
Lei ha due figli grandi: se uno di loro fosse stato gay?
«Non c’è problema. Ho già detto che ho avuto tre operai gay nella mia fabbrica. Lavoravano benissimo, mi chiedevano solo i permessi per Carnevale. Devo dire che sono molto più educati degli altri. E che si vogliono molto più bene di due normali, beati loro. Però se due si vogliono bene non possono stare insieme senza sposarsi? Perché devono fare quelle scenate: chi è che si mette il velo?».
Quali sono le sue battaglie politiche?
«Riaprire le case chiuse. In Svizzera ci sono: le prostitute stanno come regine. E fruttano allo Stato tra i 3 ai 4 miliardi l’anno, quasi una finanziaria. Una casa chiusa dà posti di lavoro, igiene: anche gli uomini sposati che ci vanno non portano alla moglie le malattie. Ma soprattutto dà protezione: la donna è un sesso debole. In casi rari trovi la donna competitiva che dà quattro sberle all’uomo perché è preparata atleticamente».
Mai andato con una prostituta?
«No. Sono andato con donne che magari erano anche prostitute, ma non le ho mai pagate. La cena sì».
Pagare la cena è galanteria!
«Certo».
Quali battaglie porta avanti oltre a quella per le case chiuse?
«Insegnare l’alimentazione a scuola. Bisogna imparare a mangiare per non ingrassare perché quando arrivano a 14 o 15 anni si suicidano perché obesi: non li guarda nessuno perché sono troppo cicciotti».
Come le è venuta questa idea?
«Ho visto diversi suicidi di ragazzi per questo motivo qua. Bisogna insegnargli che poi non avrai la ragazza o il ragazzo perché pesi un quintale».

(No, non ho detto niente, per il semplice fatto che sono rimasta basita. Sono riuscita solo a cambiare argomento.)
Da operaio a senatore la sua vita sarà cambiata enormemente. Anche da un punto di vista economico.
«Sì ma io guadagnavo 6 mila euro in Svizzera».
Adesso sono il doppio: si sarà tolto qualche sfizio.
«Ho comprato una Bmw, la voleva mia moglie. E le ho regalato un viaggio a Dubai. Che poi ci siamo rimasti pure male perché non ci è piaciuto tanto».
Gioielli, vestiti, scarpe, borse...
«Mia moglie non compra mai una borsa se costa più di 150 euro».
Non le regala mai un vestito?
«Prima aveva sempre la stessa taglia, io per prendere le misure abbracciavo la commessa per sentire se era come mia moglie. Ma scherzavo, eh. Poi glielo raccontavo sempre».
Ha percepito intorno a sé il fascino che esercita il potere?
«Tante belle ragazze vengono a chiedere. Io dico: non ho la bacchetta magica, io non vi faccio sognare. Se mi volete votare mi votate, se no a me non me ne frega niente».
Che cosa le piace di Renzi?
«Ci ho parlato una volta, ci siamo incontrati al gabinetto. Mi piace il suo savar fe’. È simpatico: spruzza da tutti i lati la simpatia. Ma certe volte pretende la luna. Non mi piace quando ricatta, mi mette un nervoso addosso».
Come: ricatta?
«Quando dice: “Dobbiamo fare la riforma al Senato se no me ne vado”. E vattene. Chi ti tiene? Nessuno ti ha eletto. Fai pure i capricci? E poi il suo primo discorso al Senato: “È l’ultima volta che vengo perché voi dovete sparire”. Ma ci si presenta così? Io l’avrei detto alla fine, almeno. Un Primo ministro deve essere prima di tutto un diplomatico. Bisogna aggirare gli ostacoli e far contenti tutti».
In questo il suo leader, Berlusconi, è stato un maestro. Come lo vede ai servizi sociali?
«Saranno felici quelli che stanno con lui per quelle quattro ore».
Sono malati di Alzheimer.
«È uguale, dove lo mette lo mette, li farà stare allegri».
Ce l’ha un libro del cuore?
«Allora proprio il libro del cuore, quello di Monicelli».
Cuore di De Amicis?
«Sì, De Adamich».
De Amicis.
«Ok, ok».
L’ha letto da bambino?
«No, quando è stato molto famoso, quindici anni fa».