Valentina Santarpia, Corriere della Sera 28/5/2014, 28 maggio 2014
TRAM, BUS E METRÒ: IL SERVIZIO PEGGIORA MA IL BIGLIETTO RINCARA DEL 67% IN 12 ANNI
MILANO — Gli spostamenti degli italiani hanno di nuovo raggiunto i 100 milioni al giorno, ma i mezzi pubblici, con le corse dimezzate e i prezzi saliti negli ultimi 12 anni del 67%, continuano a crollare sotto il peso delle automobili, che hanno toccato quota 61,6 ogni 100 abitanti: è un segnale di fumo quello che arriva dall’undicesimo rapporto sulla mobilità urbana che presenta oggi l’Asstra, l’associazione che raccoglie le 166 aziende di trasporto pubblico urbano sparse sul territorio, con Anav e Isfor.
«Si riaccendono i motori dei consumi di mobilità nel Paese, perché si interrompe un trend negativo della dinamica della domanda che perdurava dal 2008», dicono gli esperti che hanno elaborato il rapporto. Ma quello che sembra un indicatore di timidissima ripresa economica nasconde più di un’incognita, e non solo per le difficoltà croniche del trasporto pubblico locale, schiacciato da anni di mala gestione e tagli economici.
Se gli italiani si spostano di più, è per motivi di lavoro o di gestione familiare: gli analisti la chiamano la domanda basic di mobilità, ed è quella obbligata, dettata dalla necessità di spostarsi sempre più lontano per lavorare o vivere sempre più in periferia per pagare meno gli alloggi e i servizi. Il tempo libero, che nel 2008 rappresentava il 32,7% degli spostamenti totali, è arrivato al 23,9% nel 2013, sotto i colpi del calo di consumi. Questo significa che in termini assoluti nel 2013 ci sono stati oltre 10 milioni di spostamenti in meno per ragioni di svago rispetto al 2008, anno di esplosione della crisi nel nostro Paese.
Ma come ci si sposta? L’auto resta sul podio, e l’anno scorso il calo del prezzo della benzina e una leggerissima ripresa dei consumi hanno spinto i cittadini a riappropriarsi del proprio mezzo preferito senza scrupoli, nell’ultimo anno. Su 100 spostamenti, nel 2013 68,7 sono avvenuti in auto, 13,8 a piedi, 11,3 coi mezzi pubblici, 3,1 con la moto, 3,1 con la bicicletta: tutti i mezzi hanno perso, tranne l’auto che ha guadagnato. Le quattro ruote, che hanno conquistato mercato anche in valore assoluto (+4,1% passeggeri), rimangono sopra i 37 milioni, facendo registrare quota 61,6 automobili ogni 100 abitanti, un record in Europa. Questo dimostra che i cittadini sono spinti a ripiegare sui mezzi di trasporto solo per motivi di risparmio, ma che in generale non li amano: tant’è vero che il livello di soddisfazione nei confronti di autobus e tram è molto basso da anni (6,2 nel 2013, era 6 nel 2008), mentre quello per moto, ciclomotore e scooter (8,4) e automobile (8,2) resta molto alto. Piedi e bicicletta non risalgono, ma solo perché gli spostamenti si sono allungati, ed è diventato complicato percorrere lunghi tratti in poco tempo con mezzi decisamente meno veloci.
Se i mezzi, però, attraggono solo in tempi di crisi, un motivo c’è. Anzi, più di uno. Le aziende del trasporto pubblico locale, il famigerato Tpl, non vivono una stagione esaltante. Quasi i due terzi hanno tagliato le corse (61,3%), la maggioranza ha tagliato il personale, e anche se la quota delle società coi conti in rosso è leggermente diminuita (dal 41 al 37%), il dato è da prendere con le molle perché non fa riferimento alle nuove dichiarazioni dei redditi e non tiene conto dei macro debiti di aziende come l’Atac di Roma. Del resto, se le risorse pubbliche per il comparto dal 2009 al 2012 si sono ridotte del 12% (800 milioni di euro in meno), per raccattare soldi le tariffe sono state aumentate senza sosta: dal 2002 ad oggi i biglietti sono cresciuti del 67%, dell’1,9% in media nell’ultimo anno, e il prezzo medio del biglietto urbano è di 1,36 centesimi (82 nel 2002): va dai 90 centesimi (il caso raro di Benevento e Foggia) a 1,50 (da Torino a Perugia, da Milano a Roma).I nodi da sciogliere sono tanti: prima di tutto, il rapporto più che ambiguo tra gli enti locali, che spesso gestiscono il trasporto ma sono anche chiamati a far rispettare le regole. Uno dei primi punti che la riforma Lupi, annunciata per la seconda metà di giugno, promette di risolvere.