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 2014  maggio 28 Mercoledì calendario

«A RENZI SERVE UMILTÀ. MA LO HA CAPITO»


«Se Bersani non avesse truccato le primarie, avremmo da due anni un Paese ben governato».
«Chi lo dice?».
Fabrizio Rondolino, ex portavoce di D’Alema.
«Provi a truccarli Rondolino, tre milioni di voti; poi ne parliamo. Io al massimo ho truccato lo statuto per far correre alle primarie anche Renzi…».
Sono in tanti a dire che se alle elezioni del 2013 ci fosse stato Renzi al posto suo, Bersani, non sarebbe finita così.
«Guardi, per me la ditta è il partito riformista del secolo, un percorso in cui ognuno fa il suo pezzo di strada. Dopo la caduta del Muro l’Italia si è data un sistema politico provvisorio, occasionale, personalista, demagogico. Per affrontare la decadenza del Paese serve una grande formazione politica che sopravviva ai suoi leader: siano Prodi, Veltroni, Bersani, Renzi».
Resta il fatto che Renzi ha vinto, la vostra generazione no.
«Sono stato contento nel vedere i volti nuovi del Pd nella notte della vittoria: ma non sono spuntati dal nulla, li abbiamo portati in Parlamento nel 2013. Allora pagammo il prezzo dell’austerità, del sostegno a Monti che doveva evitare il precipizio. Ma conquistammo una base parlamentare che per la prima volta ha consentito al Pd di fare un governo, anzi due. E, a proposito delle ironie su “smacchiamo il giaguaro”…».
Ancora?
«Berlusconi non ha più potuto imporre leggi ad personam . Senza il risultato del 2013, sarebbe passata una norma di due righe, e avremmo ancora Berlusconi in Parlamento, con Alfano al suo fianco. Un giorno, qualcuno riconoscerà queste cose. Il mio limite è sempre stato vedere le cose nel tempo medio, e non nell’immediato, come si chiede oggi ai politici».
È stato così anche con Grillo?
«Vada a rivedersi il famoso streaming, quando avverto i grillini: “Arriverà il momento in cui direte: avremmo potuto dire, avremmo potuto fare”. Sapevo, dai segnali dei giorni precedenti, che avrebbero rifiutato. Ma ero disposto anche a farmi insultare e irridere, pur di dimostrare che ero disponibile a un governo di cambiamento».
Grillo è in calo, dopo il picco del 2013. Come mai?
«Quella volta si sfogò il voto innocente a Grillo. Fu un voto in libertà. Il giorno dopo, di fronte all’impotenza e all’allarme, si è affermata una centralità del Pd, su cui Renzi ha investito. Chapeau . È stato bravissimo. Ha trovato un’empatia con un Paese impaziente, dimostrandosi impaziente lui stesso. E ha mandato un messaggio di cambiamento senza avventura».
È la parafrasi di una formula democristiana. In effetti si parla del Pd renziano come di nuova Dc.
«In termini di civilizzazione, la Dc insieme con il Pci fece molto; e anche adesso c’è un Paese da tenere insieme, diviso da corporazioni e localismi. Pensi alle sciocchezze su Nord e Sud che si sentono negli stadi. L’altro giorno ero a Bergamo: la campagna elettorale mi ha rimesso in forze, questo Matteo mi ha perfino ridato la salute. Ai bergamaschi ho detto che avremmo dovuto cantare “Canzone marinara” e “Te voglio bene assaje”; perché sono opere di Donizetti, un loro concittadino».
Parlavamo di nuova Dc.
«Qualcuno mi chiede dov’è finita la sinistra. Gli rispondo di non preoccuparsi: la sinistra, intesa come sentimento di eguaglianza e di dignità, è incomprimibile. Il Pd deve esserne il contenitore».
Cosa direbbe oggi a Renzi?
«Di spendere in Europa la forza di questo risultato magnifico, aprendo una fase nuova. Non basta sconfiggere l’austerità; c’è da registrare lo scontro tra l’Europa e la globalizzazione, che ha prodotto populismi anche in Paesi dove la crisi ha morso di meno. Oggi il Nord Europa chiede meno solidarietà, e il Sud meno austerità. Non vorrei che ci si intendesse sui due “meno”: tu allenti un po’ le briglie a casa tua, ma non ti aspettare una politica di solidarietà europea».
Che fare allora?
«Fossi in Matteo direi così: non chiediamo sconti o allentamenti; chiediamo una discussione sulle politiche europee che finora hanno prodotto più disoccupazione, più debito, più populismi. La Bce sta lavorando contro la deflazione. Sta a noi trovare un meccanismo per smaltire una parte del debito a costi più bassi. E per investire, anche con gli eurobond, in modo da creare lavoro».
Renzi si è scontrato con la Cgil. Sbaglia?
«Renzi deve capire che l’ha votato una parte di quelli che ce l’hanno con la Cgil, ma l’ha votato pure la Cgil. Glielo testimonio io. Superare i ritualismi della concertazione è sacrosanto. Ma l’Italia non può essere un’orchestra felliniana: bisogna parlarsi. Sa come nascono le uniche due leggi che oggi creano un po’ di lavoro? Il bonus per le ristrutturazioni edilizie, che ho voluto io, me lo suggerirono gli artigiani della Cna: non ci sarei mai arrivato. E la legge Sabatini sui macchinari industriali recupera una norma del 1965. Quando si governa ci vuole umiltà. A volte torna utile una cosa antica, o una cosa suggerita da chi vive nel mondo».
A Renzi serve umiltà, quindi?
«Molta umiltà. Mi pare che l’abbia capito. Ho apprezzato la sua conferenza stampa dopo il voto».
Renzi oggi è premier e segretario del partito. Può mantenere entrambi i ruoli?
«Può farne anche tre. Ma non da solo. C’è un proverbio cinese che dice: chi beve si ricordi di chi ha scavato il pozzo. L’albero deve allargare le fronde; purché non dimentichi le radici».
Chi sarà il presidente del Pd?
«Non ne ho la più pallida idea. La cosa dirimente è insediare un grande partito riformista che possa giovare al Paese. Ci vogliono sia la velocità che il passo dell’alpino, ma non bastano; bisogna marciare su un solco politico e culturale, bisogna avere radici, perché verranno anche momenti difficili e servirà tenuta. La situazione economica dell’Italia resta grave».
Ci sono le coperture per gli 80 euro?
«Ci sono. Ma molte sono una tantum. Bisognerà trovare le coperture anche per l’anno prossimo, e sarà un passaggio complicato. La spending review non si fermerà ai famosi sprechi; arriverà alle sorgenti della spesa pubblica».
Sta dicendo che Renzi deve saper fare anche politiche impopolari?
«Il consenso va costruito anche nel medio periodo. La lotta all’evasione fiscale, ad esempio, può essere impopolare. Ma se sarà condotta a fondo, con tutti gli strumenti a disposizione, dalla tracciabilità alle banche dati, nel medio periodo darà frutto, anche in termini di consenso».
L’Italicum va cambiato?
«Sì. Resto convinto che debbano essere rivisti i meccanismi di rappresentanza: sbarramenti, soglia per il premio di maggioranza, scelta dei parlamentari. Siamo democratici e adesso governiamo: dobbiamo garantire per tutti il metodo democratico, non basta più dire che tanto noi facciamo le primarie».
Prima o poi potrebbe riaprirsi la partita del Quirinale. L’ultima volta fu durissima. Come sarà la prossima?
«Sarà meno difficile. La prossima volta ci sarà lealtà».