Paolo Pecere, Europa 21/4/2014, 21 aprile 2014
LA FISICA? ROBA DA POETI
La fisica atomica è, tra i tanti argomenti esoterici della scienza contemporanea, quello che più di tutti sembra richiedere uno sforzo d’immaginazione e, poiché tratta di una dimensione enormemente distante da quella della nostra esistenza quotidiana, promette un distacco affascinante e sublime dalle faccende terrene. Così, mentre dai giornali apprendi che in un acceleratore di particelle lungo 27 kilometri è stata individuata «la particella di Dio», tendi ad accettare che un libro di divulgazione scritto da autorevoli scienziati descriva così la grande rivoluzione della fisica quantistica avvenuta circa un secolo fa: «Era come se il capitano Kirk e la sua Enterprise fossero atterrati su un pianeta simile a quello trovato da Alice dopo la sua caduta nella tana del coniglio. Era una realtà diversa, che seguiva logiche da mondo dei sogni».
La frase si trova in Fisica quantistica per poeti (Boringhieri 2013, €24), una breve storia delle teorie fisiche fondamentali scritta dal premio Nobel per la fisica Leon Ledermann (già autore di La particella di Dio) e da Christopher Hill. Ma simili formulazioni si possono trovare nei libri che hanno scandito la storia (e l’esplosione) della divulgazione scientifica degli ultimi venticinque anni, dal best seller Dal Big Bang ai buchi neri di Stephen Hawking (1988) a L’Universo elegante di Brian Greene (2003). Anche noi non-fisici, quando un mattino abbiamo deciso che volevamo saperne di più sull’origine dell’Universo, ci siamo rivolti a libri come questi, che contengono sempre l’immagine di una grande esplosione da cui ha origine un cono, che più si allarga più contiene grumi di galassie e infine l’insignificante Terra, oltre a garanzie certe sui viaggi nel tempo. È qui che abbiamo cercato la parola dei grandi scienziati che, come una casta sacerdotale, ormai di norma interrompono la scrittura dei propri articoli scientifici, destinati a un centinaio di lettori molto scettici, per scrivere una di queste storie di scoperta a beneficio del grande pubblico. Ma c’è un problema: le storie raccontate in questi libri non vanno a finire tutte nello stesso modo.
L’origine del problema è ripetuta in tutti i libri del genere scritti da decenni a questa parte: le due teorie fondamentali della fisica contemporanea, la teoria della relatività generale (che si occupa di spazio, tempo e gravitazione) e la meccanica quantistica (che si occupa delle particelle atomiche) non vanno d’accordo. L’indagine degli scienziati che tentano di capire come si possa rimediare al problema, e ottenere una Teoria unificata, coinvolge l’interpretazione di stadi dell’Universo di poco successivi al Big Bang, la divisione di particelle atomiche, lo studio di fenomeni remoti come i Buchi neri, il tutto attraverso la formulazione di teorie ancora congetturali e – diciamo subito – ancora prive di riscontro empirico. Queste teorie sono talmente complicate che anche tra i fisici sono soltanto ristrette comunità di specialisti a saperle padroneggiarle; si chiamano“gravità quantistica” e “teoria delle stringhe”, e raggiungono l’unificazione della fisica a condizione di modificare la nostra immagine del mondo fisico introducendo (rispettivamente) uno spazio frammentato in un reticolo di celle di dimensioni dell’ordine dei 10-15 cm, molto inferiori alle particelle elementari, e nuove entità fondamentali che esistono in 10 dimensioni… ma eccoci allo stadio-Enterprise!
Siamo «dove nessuno è mai giunto», e le parole diventano per tutti noi significanti alla deriva – eccettuato forse il fisico in t-shirt che sta coprendo la lavagna di segni indecifrabili. Così abbiamo il nuovo compito di orientarci in una situazione scientifica che, al presente, è al tempo stesso complicatissima e irrisolta. Il fisico in t-shirt, che nel frattempo è impegnato a seguire i suoi calcoli indecifrabili e a chiedere finanziamenti per la sua ricerca su teorie non pienamente accreditate, ha poco tempo libero per fare una scelta: che cosa raccontare di tutto questo? È una scelta difficile, che avviene dietro il muro quasi insormontabile del tecnicismo, nel momento in cui lo scienziato deve costruire la narrazione della fisica. Si tratta a mio parere di trovare una strettoia tra due scogli che, mentre la scienza tenta di passare al pubblico, rischiano di distruggerne la vocazione più autentica: li chiamerò fondamentalismo e relativismo.
Il fondamentalismo è l’atteggiamento di chi pretenda di aver colto la verità sul Libro della natura e di ritrovarla in un testo (questo sarà di solito un libro divulgativo, che a differenza degli articoli specialistici contiene una Narrazione esaustiva della scienza). In realtà, forse nessuno scienziato è veramente fondamentalista, ma la scelta retorica di nascondere i limiti della sua ricerca può avere come effetto quello di trasmettere il fondamentalismo al lettore medio. È una scelta che di solito dipende dal fatto che lo scienziato in questione crede nella teoria su cui lavora, e vuole raccontarne le promesse, lasciando a margine i dubbi: vuole invitare il lettore a immaginare che la teoria sia vera – come fa lui, perché è fondamentale crederci, alle stringhe 10-dimensionali, per affrontare la tempesta matematica dei calcoli. Il lettore è del resto disarmato: come sappiamo fin dai tempi di Galilei, la lingua della fisica è matematica e capire questa matematica, oggi, richiede almeno un dottorato. Per evitare qualsiasi equivoco, dunque, bisognerebbe semplicemente evitare di divulgare.
Questo ragionamento portò già Newton a chiudere nel cassetto il manoscritto del suo Sistema del mondo, scritto in forma «popolare», ingabbiando la sua teoria della gravitazione universale (che pure possedeva una forte base empirica) nell’edificio quasi impenetrabile dei Principi matematici della filosofia naturale: «per sottrarre la cosa a ogni disputa» basata su pregiudizi, cioè: “se non potete capire nulla, è meglio che lasciate stare, invece di convincervi di aver capito”. Ma almeno dai tempi dell’Illuminismo è considerato un diritto del pubblico (e anche dell’autore, che dispone della propria scienza come di una proprietà) rompere questa cerchia di esclusività. Dato che la verità letterale resta indecifrabile, si tenta di narrarla con il linguaggio comune, che però è pur sempre inadeguato: il risultato è che il fisico deve necessariamente abusare di termini tecnici che suonano soltanto metaforici, e dare per scontata l’esistenza di entità o proprietà puramente ipotetiche, spiegando a lettore che, se non capisce, forse è perché non ha la preparazione (e il coraggio intellettuale) di credere l’inimmaginabile.
Il germe del fondamentalismo è quasi inestirpabile dalle frasi con cui si provano a illustrare le teorie contemporanee. Per esempio, Ledermann e Hill (pur senza sottoscrivere la validità della teoria) scrivono che in gravità quantistica «lo spazio e il tempo comunemente intesi diventano una “schiuma” quantistica, un caos ribollente».
Il fascino engagé del fisico teorico, che come un filosofo detta l’agenda per il senso comune del futuro, è ormai inseparabile da formulazioni come queste. Ma il punto non sta nell’uso di simili frasi ottime per un romanzo di fantascienza anni ’50 – che è forse inevitabile – quanto nella scelta di non accompagnarle da adeguate considerazioni di cautela, raccontando al pubblico come stanno le cose dietro la scena. Oltre al fatto che le posizioni sulla Teoria futura sono divise, bisogna segnalare che una delle teorie fondamentali che questa Teoria dovrà includere, la meccanica quantistica, è essa stessa oggetto di controversie ancora in corso. Si tratta di una teoria che permette soltanto di prevedere la probabilità di trovare le particelle in determinati luoghi, senza dire nulla del loro stato prima all’osservazione, e questo fatto, che per molti va accolto come strano tratto di un mondo «come quello di Alice», pieno di particelle che appaiono e scompaiono tenendosi in contatto telepatico, non ha mai convinto tutti gli scienziati (il primo dei dissidenti fu Einstein). Le proposte alternative, però, sono molteplici. Il risultato è che, come scrive un osservatore, i convegni di fondamenti assomigliano a «Città sante sconvolte dalle dispute tra predicatori di diverse religioni».
Ora, se il fondamentalismo è un eccesso, anche descrivere le cose in questi termini lo è, e porta la scienza a infrangersi contro il secondo scoglio, il relativismo. Questo atteggiamento non è tipico degli scienziati, ma di scrittori che approfittano della confusione per aggirare ogni cautela scientifica, lanciandosi in affermazioni fantascientifiche che il pubblico, di nuovo, non avrà modo di controllare. In questo modo si mira a legittimarsi facendo saltare in aria la cittadella degli scienziati, alcuni dei quali del resto (diffondendo l’atteggiamento fondamentalista) hanno lasciato socchiuso il portone. Nel 1996 il fisico Alan Sokal, in Imposture intellettuali, mostrò che l’immagine della fisica tra gli umanisti era talmente sfocata che un articolo sull’«ermeneutica della gravità quantistica» pieno di affermazioni insensate poteva essere accettato da una rivista di cultural studies postmodernista.
Più di recente ha fatto discutere (si veda qui) il caso del gioielliere newyorkese David Birnbaum che ha stampato in proprio un libro di fisica Definitiva, finanziando a sue spese una giornata di studi presso un Dipartimento universitario americano, con tanto di call for papers per gli studiosi che desiderassero intervenire. Birnbaum è un esempio di scrittore che, senza avere formazione scientifica, costruisce la fisica manipolando fantasiosamente i libri di divulgazione e così conferisce nuova linfa al termine science fiction. Dato che in fisica si parla (in molti sensi specifici) di potenziale, e che manca una sintesi, Birnbaum approfitta del potenziale semantico del termine Potenziale, scrivendolo con la maiuscola, e dichiara al mondo di aver risolto tutti i problemi, con frasi così: «la traiettoria cosmica va dal VUOTO senza fondo allo STRAORDINARIO illimitato».
Negli ultimi anni sono stati diversi i tentativi di accreditare teorie di questo genere, che sono indubbiamente affascinanti, dal punto di vista estetico: è la fisica degli “outsider”, raccontata in un libro molto interessante di Margaret Werheim, Physics on the Fringe (2011), che ci chiama in causa con una domanda disarmante: «Che cosa succede in una società in cui la cosmologia ufficiale, l’immagine del mondo ufficiale, è letteralmente incomprensibile per il 99.9% delle persone?». Come mostra il caso di Birnbaum, in questi casi l’assalto alla scienza non si concentra soltanto sulla fragilità delle teorie ancora congetturali, ma anche sull’autorevolezza che l’outsider può attribuirsi approfittando degli spazi aperti del mercato editoriale e della tentazione che, come finanziatore privato, può esercitare su un Dipartimento universitario. Il problema, però, è come impedire che il pubblico non si accorga della differenza tra queste costruzioni immaginarie e le autentiche ipotesi scientifiche. Il relativismo è il risultato desolante che si ottiene quando questa differenza scompare, e il mondo diventa popolato indistintamente di fisici in t-shirt, elettroni, circloni, stringhe, zuppe di quark, e anelli di fumo. La distopia cognitiva corrispondente sarebbe un mondo in cui ottengano una patente di realtà le entità più finanziate.
In questa situazione, un libro come Fisica quantistica per poeti ha diversi pregi. Presenta un itinerario completo attraverso la fisica dell’ultimo secolo, accettando la sfida di raccontarne i problemi e i risultati senza usare un singolo segno matematico. È scritto da fisici sperimentali, che non sono direttamente coinvolti nella difesa di una teoria contemporanea, e forse per questo non prende posizioni nette, e ha un linguaggio mediamente sobrio (l’inserto di poesie, che interrompono ogni tanto la narrazione, non ha nessun vero collegamento con il discorso, ma proprio per questo non minaccia seriamente la comprensibilità).
Il libro però oscilla tra una visione bilanciata e laconica della situazione («purtroppo bisogna ammettere che la teoria delle stringhe non ha ancora nessuna base sperimentale»), e un altro atteggiamento dogmatico, che tra i fisici è molto diffuso, lo strumentalismo. Si tratta dell’atteggiamento secondo cui provare a capire il mondo (e quindi a spiegarlo) non è il compito delle teorie scientifiche, che devono «funzionare» in pratica, poiché ciò basta allo sviluppo tecnologico. Nel caso della fisica quantistica, gli autori ricordano diversi sondaggi da cui emerge che i fisici stessi hanno idee molto diverse sul significato della teoria, ma proprio per questo raccomandano di non dare troppo credito ai “ribelli” che si intestardiscono a trovare un senso nella teoria, seminando lo scompiglio. Dimenticano però che gli stessi Bohr, Heisenberg e Born erano percepiti ai loro tempi – come scrivono gli stessi Ledermann e Hill – come dei «ribelli». Se questo atteggiamento fosse stato pienamente diffuso le principali rivoluzioni scientifiche non avrebbero avuto luogo: non pare che la fisica possa liberarsi dal demone della teoria.
Come diceva Einstein «pensare fisicamente» senza usare pure idee è come «respirare senz’aria». In questa situazione, un libro di divulgazione può fare la sua parte sottolineando valori scientifici evidentemente antinarrativi: il cammino lento e spesso tortuoso della giustificazione empirica; il fatto che ogni conoscenza presente sia relativa a uno stato perfettibile della teoria; il ruolo fondamentale delle idee per il concepimento di verità possibili, ma anche l’incertezza costitutiva che caratterizza la fisica rispetto alla conoscenza dell’Universo nella sua totalità. Far passare queste nozioniè complesso, ma ne va della vera fedeltà alla nostra cultura scientifica.
Una delle sue caratteristiche generali, che Galilei, Newton e Einstein ereditarono da un interrogatore compulsivo come Socrate, è infatti quella di comprendere i limiti del nostro sapere. Rilanciare questo aspetto della scienza è ancora più difficile in un momento storico in cui la scienza non gode più del credito culturale di cinquant’anni fa, mentre sono popolari forme di retorica e di narrazione che la scienza non può imitare, se non autodistruggendosi. Proviamo a dimenticare Star Trek: «I fisici indicavano un cammino in un deserto smisurato. Il loro metodo per orientarsi, e correggere i propri errori, era superiore a qualsiasi altro, ma ci dissero che sinceramente non avevano idea di dove e quando saremmo arrivati. Noialtri andavamo con loro, discutendo alla luce di una fiaccola». Ecco lo spunto per un romanzo in stile “Urania” intitolato Esodo nell’infinito – o per una nuova narrazione divulgativa.